Pedonalizzazione – penalizzazione
Peccato, perché ci credevamo. Con cauta ma ottimistica speranza in molti pensavamo che la pedonalizzazione di via Todeschini, anche se solo per pochi giorni di un periodo definito, potesse costituire il primo passo, il calcio d’inizio di una partita verso il modello di città meno autocentrico che da sempre auspichiamo in favore di un maggiore spazio a pedoni, biciclette e mezzi pubblici. Così non è stato. Nonostante la buona volontà visionaria del proponente (Elio Insacco) e dei molti sostenitori (Lucia Cametti in testa) il progetto è naufragato fra la sollevazione popolare e le scuse del Consigliere comunale, per fortuna ancora convinto della bontà e sostenibilità della proposta.
Ad ordinanza revocata, allora, proviamo a ragionare sulle cause per evitare che da un fallimento possa derivare un atteggiamento immobile per altri sempre troppo lunghi anni. Supponendo valido il merito del provvedimento (si parla di organizzare un percorso ciclopedonale interquartierale che colleghi la periferia al centro in modo diretto e sicuro, un’iniziativa sulla cui utilità non si discute) ricercheremo nel metodo le ragioni del naufragio.
Giustamente si è detto che “la pedonalizzazione non è una penalizzazione ma, anzi, una conquista”. Assolutamente vero (per noi ciclopedoni). Ma quest’affermazione non è stata probabilmente colta allo stesso modo da tutti i cittadini. Affinché questa conquista sia percepita come tale da tutti i soggetti, e non solo da coloro i quali ne ottengono i benefici più immediati (l’utenza vulnerabile, in generale) serve qualcosa di più di un’affermazione. E’ impensabile infatti che chi si vede privato di diritti di cui ha goduto fino a un dato momento possa esultare al realizzarsi di certi interventi, seppure ritenuti di altissimo spessore sociale, che tali diritti revocano. Si tratta pur sempre di una limitazione alla libertà individuale. Le ragioni (più grandi e più alte) di questa restrizione vanno pertanto comunicate, motivate, condivise. Si chiama democrazia partecipata. In alcuni Paesi è prassi (pure in Italia ci sono state alcune riuscite sperimentazioni). Utilizzando questa modalità progettuale le tensioni fra le parti per contrasto di interessi si stemperano attraverso assemblee, confronti, mediazioni, gare di idee, coinvolgimento. E, almeno così dicono, si riducono drasticamente le nascite di nuovi Comitati (è evidente: se hai partecipato alla progettazione e alle decisioni, ne accetti meglio anche i necessari compromessi a te sfavorevoli).
Una bella occasione potrebbe essere l’inserimento di certi argomenti in un discorso di pianificazione più ampio. Magari in quel Piano della Ciclabilità (o Biciplan) che gli Amici della Bicicletta propongono da anni agli amministratori. Se non si contestualizza ogni intervento, grande o piccolo che sia, in un quadro di riferimento (meglio se condiviso, appunto) il rischio è quello di assistere a piccole battaglie poco edificanti come quella dei giorni scorsi, appunto. Dalla quale la civitas esce sicuramente sconfitta.
Mi è piaciuta la frase di Lucia Cametti, che ha ricordato la “funzione didattica degli amministratori nei confronti dei cittadini”. Ecco, un’occasione educativa forte potrebbe essere proprio quella di agevolare questo percorso virtuoso, utile pure alla costruzione di una cittadinanza responsabile e consapevole. Continuiamo a suggerirlo e ad augurarcelo di cuore.
Luciano Lorini
(pubblicato il 13.12.2010 su Verona-in blog)