Il benessere di una città

«Se dovessimo pensare alle nostre comunità, quali sono i criteri per valutarne la maturità? Non è la qualità delle relazioni, il senso di corresponsabilità che si vive, la capacità di perdono? Le relazioni sono un bene prezioso e fragile. Prendersene cura è uno degli investimenti migliori della vita. […]
Sentirsi responsabili degli altri è la premessa necessaria per fare comunità. Non solo comunità-chiesa, ma anche comunità- città, comunità- paese. Questo ha una ricaduta fondamentale sulla vita culturale e civile. Sentirsi responsabili della vita dell’altro significa vivere una cittadinanza attiva, un amore politico che crea condizioni umane per tutti, senza discriminazioni, esclusioni. Come si fa a giudicare il livello di una città? Dai soldi che circolano? Dalla pulizia dei marciapiedi? Oppure dalla qualità della relazioni? Dalle scelte a favore dei diritti e della dignità, dal grado di non esclusione che vi si vive? Come il sentirsi responsabili degli altri può rendere una città un luogo fraterno, ospitale, accogliente?»
È un passaggio dall’omelia domenicale di questa settimana di don Marco Campedelli, della Comunità di San Nicolò all’Arena, che ha invitato a riflettere sul concetto di Comunità (la Parola del giorno era appunto il “Discorso della Comunità”, Matteo 18,15-20).
Le ultime domande, in particolare, hanno creato un cortocircuito mentale con la freschissima esperienza del mio viaggio a Barcellona. Oltre alle classiche suggestioni delle visite ai musei o ai fasti architettonici (sensazioni piacevoli suscitate da un’indubbia bellezza) ho riportato una chiara percezione in questo senso, passeggiando e pedalando all’interno delle viuzze meno frequentate dai turisti, nei mercati e nelle piazze nascoste, dove la gente si incontra e dove si intessono relazioni. Mi sono compiaciuto di una politica che, attraverso scelte urbanistiche attente e responsabili, sembra privilegiare l’attenzione al buon abitare, senza bisogno di cercare soluzioni complesse o avviare esperimenti particolari (penso al bel progetto veronese di co-housing che sta maturando in seno alla MAG).
Basterebbe così poco: riattivare (o creare, dove mancano) i mercati coperti rionali, ad esempio. O pedonalizzare totalmente almeno una strada per quartiere, modificando e arricchendo con un solo gesto politico tutto il significato stesso dei rapporti di vicinato. O aprire in un parco un chiosco gestito, sotto la supervisione di un assistente sociale, da ex tossicodipendenti (una delle “tapas” più piacevoli e significative che ho sperimentato). O…

Significativo, per cogliere le sfumature di questo percepito, il colloquio con il pakistano del negozietto di quartiere presso il quale a mezzanotte facevamo la spesa per la colazione del giorno dopo, che ci ha confessato di non amare l’Italia, paese poco accogliente dal quale è partito senza rimpianti e dal quale, così ci ha detto, se ne stanno andando anche buona parte dei suoi connazionali; a Barcellona “è felice: qui è tutta un’altra cosa”. Basta passeggiare un po’ fuori dalle Ramblas per intuirlo, semplicemente respirando e ascoltando i rumori dei quartieri, che pulsano degli intrecci vitali di molte comunità.
Immagino bene che non sia tutto oro, che magari l’apparenza inganna e che i problemi e i disagi siano molti anche là; ma qualcosa è senza dubbio differente, soprattutto nelle impostazioni di fondo. Trarre qualche spunto ispiratore non ci può fare altro che bene.
Luciano Lorini
(Nota su Facebook – 08 settembre 2014)
Aggiungo questa nota come aggiornamento, invitandovi a leggere il report dedicato dal sito “Projects for Public Spaces” (pps.org) relativo proprio a questo aspetto. Interessante: http://www.pps.org/blog/market-trends/