Lista visioni cinematografiche di Luciano


 
 Grand Budapest Hotel (The Grand Budapest Hotel)

 
pic_movie_951   NUM   951  
  DATA E CINEMA   2014.05.19 KAPPADUE (CINEF 51-29om)  
  RASSEGNA   CINEFORUM CHAPLIN  
 
     
  REGISTA   Wes Anderson  
  ATTORI   Saoirse Ronan, Tilda Swinton, Léa Seydoux, Ralph Fiennes, Bill Murray, Edward Norton, Jude Law, Owen Wilson  
  PRODUTTORE   Scott Rudin Productions, Indian Paintbrush, Studio Babelsberg, American Empirical Pictures  
  SCENEGGIATORE    
  COMPOSITORE    
  PAESE   Germania, U.S.A.  
  CATEGORIA   Commedia, Drammatica  
  ANNO   2014  
  DURATA   100 minuti  
  LINGUA    
  SOTTOTITOLI    
  URL   http://www.grandbudapesthotel.com  
 
 
 

DESCRIZIONE   Grand Budapest Hotel narra le avventure di Gustave H, leggendario concierge di un lussuoso e famoso albergo europeo e di Zero Moustafa, un fattorino che diviene il suo più fidato amico. Sullo sfondo, il furto e il recupero di un celebre dipinto rinascimentale, la violenta battaglia per un'enorme fortuna di famiglia, ed una dolce storia d'amore. Il tutto tra le due guerre, mentre il continente è in rapida e radicale trasformazione.
 

COMMENTO   Basta osservare il colossale Grand Budapest Hotel a tutto schermo, per innamorarsi all'istante di Wes Anderson, oppure per restarne indifferenti o continuare a cercare il senso nelle sue pellicole. Un po' quello che si diceva per Tim Burton, con cui doveva essere colpo di fulmine, o per Woody Allen, o lo ami o lo odi. Luoghi ormai comuni, ma tant'è.
Questo è il progetto più ambizioso di Wes Anderson, intanto a livello produttivo. Siamo negli anni '30: un concierge (Ralph Phiennes) di un gigantesco albergo nell'immaginaria Zubrowka, fa amicizia con un giovane garzoncello dell'albergo stesso (Tony Revolori), ma a causa di un'eredità non preventivata, si troverà a fare i conti con la giustizia, a scappare, a risolvere un mistero, a salvare la pelle.
La narrazione di Anderson è un continuo romanzare, che in questo film è anche giustificato da un racconto che ci arriva dalle parole del vecchio Zero Moustafa (F. Murray Abraham), udite e trascritte dal nuovo proprietario dell'albergo (Jude Law), che a sua volta sono lette da una ragazza, nelle immagini iniziali del film. Diversi piani del racconto, che diventano diversi piani dell'immagine. E allora il romanzare, forse l'inventare, l'arricchire soprattutto a livello visivo la narrazione, è ulteriormente giustificato, se mai ce ne fosse il bisogno. E se volete una conferma in più, la storia è divisa in capitoli. La sensazione di qualcosa che viene raccontato e tramandato è permanente, anche perché amplificato dalle voci narranti fuori campo, così come il senso di un racconto che è passato per più mani e più voci e quindi avrà forzatamente accusato alcune incongruenze ed esagerazioni di fondo.
Sembra come se Anderson abbia creato un mondo con degli inserti fantasy, senza però tracciare complicate mappe del luogo. O magari un gioco di ruolo, dove ogni pedina entra al momento giusto e recita la sua parte in modo funzionale. Che sia un mondo “vero” o no, il piacere di fare cinema di Wes Anderson sta proprio nel raccontare senza dover restare ancorati al reale (pur nella sostanza trattando temi e storie “reali”) e nel lasciarsi trasportare dall'artefatto cromatico, come in un affascinante dipinto. Ma attenzione, un dipinto dove ogni colore occupa un tassello prestabilito, non le pennellate che si sovrappongono l'una a l'altra mescolando i colori.
O ancora: la narrazione somiglia all'ordinato scorrimento di diapositive l'una dietro l'altra, delle belle diapositive intendiamo, dove oltre a gustarsi colori ed immagini mozzafiato, si scorgono di tanto in tanto le chicche del luogo, che nel film si trasformano negli attori di turno: ecco Owen Wilson, poi Bill Murray e ancora Jason Schwartzman. Alcuni sono presenti forse un paio di minuti, ma come nel Grand Budapest sono meritevoli di stupore il blu elettrico sulle giacche da lavoro o le pareti rosso fuoco degli ascensori, lo sono anche le improvvise apparizioni degli attori citati. Pennellate rapide, ma ordinate.
The Grand Budapest Hotel è un film che può spaccare a metà: se non si apprezza lo stile di Wes Anderson, il suo romanzare sempre e comunque, inserito in un estremo contesto visivo che non possiamo definire altrimenti che “volutamente finto”, difficilmente si riuscirà ad apprezzare questo lavoro, così come si saranno lasciate in secondo piano altre sue pellicole, Rushmore su tutte. Ma se si riesce a lasciarsi catturare dal suo romanticismo e a considerare le delizie per gli occhi come parte integrante di una narrazione che va oltre il concetto d'avventura, di azione o di fantasia, questo è innegabilmente il suo gioiellino.

La frase:
Zero: “Poi c'è una poesia, ma forse è il caso di procedere con la zuppa... perché sono 46 strofe".
a cura di Matteo Colibazzi