Lista visioni cinematografiche di Luciano


 
 127 Ore (127 Hours)

 
pic_movie_813   NUM   813  
  DATA E CINEMA   2011.02.25 DIAMANTE  
  RASSEGNA    
 
     
  REGISTA   Danny Boyle  
  ATTORI   James Franco, Amber Tamblyn, Kate Mara, Lizzy Caplan, Clémence Poésy, Kate Burton, Darin Southam, Elizabeth Hales, Norman Lehnert  
  PRODUTTORE   Cloud Eight Films, Everest Entertainment, Darlow Smithson Productions, Pathé  
  SCENEGGIATORE    
  COMPOSITORE    
  PAESE   U.S.A., Regno Unito  
  CATEGORIA   Drammatico  
  ANNO   2010  
  DURATA   90 minuti  
  LINGUA    
  SOTTOTITOLI    
  URL   http://www.foxsearchlight.com/127hours  
 
 
 

DESCRIZIONE   Il film racconta la storia dell’escursionista Aron Ralston (James Franco) e della sua incredibile disavventura. Bloccato in uno stretto canyon nello Utah, con un braccio schiacciato da un masso distaccatosi dalla roccia, Ralston ricorda gli amici, le amanti (Clémence Poésy), la famiglia e le due escursioniste (Amber Tamblyn e Kate Mara) incontrate poco prima e, nel corso di cinque giornate, combatte contro gli elementi e i suoi stessi demoni, fino a scoprire di avere il coraggio e la volontà di liberarsi a qualunque costo, scendere lungo una parete di 20 metri e camminare per oltre 12 chilometri, prima di essere finalmente tratto in salvo.
 

COMMENTO   Succede che i casi e la natura spingano un uomo in territori inimmaginabili, costringendolo a meditare sulla vita e accostarsi alla morte in una situazione tra il paradossale e l’agghiacciante: rimanere bloccati più di cinque giorni in uno sperduto crepaccio del paradisiaco Canyonlands National Park nello Utah con una grossa roccia a immobilizzare, schiacciandoli senza scampo, mano e parte dell’avambraccio. E' l’orribile storia capitata realmente a uno spericolato e solitario ventottenne americano di nome Aron Ralston (James Franco), che un fine settimana del 2003 si avventurò nella natura selvaggia alla volta del Blue John Canyon e vi restò – suo malgrado – centoventisette ore, con scarse risorse nutrizionali, obbligato ad andare oltre ogni umano limite per sopravvivere.
Quest’avvenimento, da cui è tratto il libro "Between a Rock and a Hard Place", ha colpito la sensibilità e la fantasia dell’inglese Danny Boyle, regista poliedrico e bravo a (ri)innovarsi come pochi, già arrivato al successo con "Trainspotting" e celebrato con gli otto Oscar di "The Millionaire".
Purtroppo per il malcapitato protagonista, "127 Ore" non è la fiaba milionaria di Jamal e, al contrario di Mumbai, lo scenario desertico del Canyon costruisce un silenzio ascetico, interrotto solo dalla musica diegetica delle cuffie e dall’incontro con due giovani turiste.
In un simile paesaggio incontaminato e lontano dalla giungla d’asfalto della città, Aron è felice e si diverte un mondo anche quando si ribalta malamente con la sua mountain bike; allora ci si mette di traverso il fato e durante un trekking solitario tra le rocce dorate accade il grottesco incidente accennato in precedenza.
E' l’inizio dell’angosciante weekend di sofferenza per il ragazzo, intrappolato con lo zaino – fortunatamente – in spalla all’interno di una crepa larga novanta centimetri a fare lentamente i conti con la morte e a meditare sulla sua esistenza aiutato da una videocamera; episodio, autentico, che permette al protagonista di svelarsi e instaurare un dialogo con lo spettatore tramite i messaggi-testamento che lascia ai propri cari.
Un aspetto assai interessante, che farà indignare gli integralisti della tensione drammatica nuda e cruda, ma che invece rappresenta con ogni probabilità una soluzione indovinata è quella di ricorrere, integrandola con i pensieri di Ralston, alla tecnica dello jump cut che consente di raccontare metaforicamente e in modo energico delle soporifere situazioni, permettendo di interrompere la staticità (forzata) dell’azione con inaspettate e beffarde arguzie. Ironia che, appunto, bilancia le mostruose atrocità di cui si è testimoni e crea due universi paralleli: uno tragico e l’altro farsesco; una contrapposizione organizzata, testimoniata anche dal singolare utilizzo di due direttori della fotografia (Anthony Dod Mantle ed Enrique Chediak) a sdoppiare e differenziare l’effetto visivo in base alle esigenze semantiche del regista.
Nel perverso e frastornante gioco del destino, Aron le tenta tutte per sopravvivere e non perdere la lucidità dopo tante ore di disperata inerzia; l’unico appiglio con cui evitare la paura e la disperazione è abbracciare con piena coscienza il valore della vita.
Peccato per qualche intrusione di troppo della (bella) colonna sonora che non è risparmiata neanche nella scena clou (inguardabile, da quanto è cruenta) e per quel finale troppo consolatorio che rischiano di penalizzare una pellicola affascinante, impreziosita dalla straordinaria performance di James Franco che si cala perfettamente nella parte turbando lo spettatore e costringendolo a sentire la polvere di quel dannato crepaccio.

La frase: "Non devi perdere il controllo".
Nicola Di Francesco