Lista visioni cinematografiche di Luciano


 
 The Holdovers - Lezioni di vita (The Holdovers)

 
pic_movie_1748   NUM   1748  
  DATA E CINEMA   2024.01.26 DIAMANTE  
  RASSEGNA    
 
     
  REGISTA   Alexander Payne  
  ATTORI   Paul Giamatti, Dominic Sessa, Da'Vine Joy Randolph, Carrie Preston, Gillian Vigman, Michael Provost, Brady Hepner, Colleen Clinton, Greg Chopoorian, Oscar Wahlberg, Tate Donovan, Dustin Tucker  
  PRODUTTORE   CAA Media Finance  
  SCENEGGIATORE   David Hemingson  
  COMPOSITORE   Mark Orton  
  PAESE   USA  
  CATEGORIA   Commedia, Drammatico  
  ANNO   2023  
  DURATA   133 minuti  
  LINGUA    
  SOTTOTITOLI    
  URL   https://www.comingsoon.it/film/the-holdovers-lezioni-di-vita/63370/scheda/  
 
 
 

DESCRIZIONE   The Holdovers - Lezioni di vita, film diretto da Alexander Payne, racconta la storia di un insegnante Paul Hunham (Paul Giamatti), che pare non piacere a nessuno, né ai suoi studenti nè ai suoi colleghi e neppure al preside. Nessuno, infatti, pare gradire il suo essere rigido e pomposo. È il Natale del 1970 e Paul, senza una famiglia e un luogo dove trascorre le festività, decide di restare a scuola dorante le vacanze come supervisore degli studenti che ancora non hanno potuto far ritorno nelle loro case. Dopo qualche giorno, soltanto uno studente rimane nell'istituto. Si tratta del quindicenne Angus (Dominic Sessa), un ottimo studente ma con un pessimo comportamento, che crea sempre problemi e rischia ogni volta l'espulsione. Oltre a Paul e al giovane, è rimasta nella scuola anche la capocuoca Mary (Da'Vine Joy Randolph), che si occupa dei figli dei privilegiati nella scuola e che di recente ha perso suo figlio nella guerra in Vietnam. I tre si ritroveranno a formare un'improbabile famiglia sotto le festività natalizie, condividendo diverse disavventure nelle nevose due settimane che trascorreranno insieme in New England.

PANORAMICA SU THE HOLDOVERS - LEZIONI DI VITA
Dopo Downsizing - Vivere alla grande (2017), il regista statunitense Alexander Payne torna a girare per il grande schermo. Questa volta l'ispirazione parte da un film degli anni Trenta, Vacanze in collegio (1935), del francese Marcel Pagnol: un maestro scorbutico e burbero si ritrova a passare le vacanze di Natale con gli studenti del collegio in cui insegna. Produttore e sceneggiatore è David Hemingson, il quale aveva inizialmente pensato alla storia per uno sceneggiato televisivo. Le riprese hanno avuto luogo nei primi mesi del 2022 in Massachusetts, dove la troupe ha girato in cinque vere scuole dello stato: Groton, Northfield Mount Hermon, St. Mark's School, Fairhaven High School e Deerfield Academy (quest’ultima frequentata dallo stesso attore Dominic Sessa, qui al suo debutto cinematografico). Sebbene il film presenti un’estetica tipica degli anni Settanta, esso è stato girato interamente in digitale: gli effetti visivi tipici della pellicola in celluloide - la grana, gli aloni - sono stati aggiunti in post produzione. Negli States il lungometraggio è stato vietato ai minori di 17 anni a causa del linguaggio volgare, della presenza di droghe e di immagini sessuali.

CURIOSITÀ SU THE HOLDOVERS - LEZIONI DI VITA
- L'intero film è stato girato in luoghi reali e pratici, infatti non sono stati utilizzati set o palcoscenici.
- Seconda collaborazione tra Alexander Payne e Paul Giamatti dopo Sideways (2004).
- Il film è stato presentato in anteprima internazionale al Toronto International Film Festival 2023.
 

COMMENTO   Dopo il deludente Downsizing, Payne torna con un film a suo modo irresistibile, e uno dei migliori della sua filmografia. The Holdovers guarda alla New Hollywood in maniera quasi filologica nella messa in scena di luoghi, personaggi, sentimenti e estetiche, senza però dimenticare mai di tenere un piede ben piantato nel presente. Paul Giamatti, Dominic Sessa e Da'Vine Joy Randolph, sono tre interpreti in stato di grazia che animano una sceneggiatura impeccabile (di David Hemingson), e la regia di Payne si mette con intelligenza al loro servizio.
Quello che Payne mette sullo schermo, attraverso le belle immagini fotografate da Eigil Bryld, è una vicenda di scoperta, di un viaggio che non è tanto fisico, verso Boston, ma più lungo, complesso e tortuoso dentro sé stessi. Quel che Payne propone, insomma, è l’esperienza di un'introspezione, di una migliore e più sincera e completa conoscenza di sé stessi allo scopo ci conoscere meglio e più sinceramente il mondo. Qualcosa che, in quest'era così superficiale e ipocritamente ipersensibile, non è affatto scontata. (Federico Gironi - Comingsoon.it)
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Il logo della Universal che, in testa al film, appare nella sua versione anni Settanta non è solo un vezzo. Nemmeno, forse, solo una dichiarazione di intenti. È un segno di appartenenza. L’appartenenza a un mondo, a un pensiero, a un’idea di cinema che troppo spesso ci sembra estinta, ma che fortunatamente resiste ancora grazie a uno sparuto gruppo di irriducibili, come il villaggio di Asterix.
Solo che, qui, i romani sono la Hollywood contemporanea, mentre i Galli sono gli Alexander Payne di turno, uno che non solo ambienta il suo film negli anni Settanta, ma che lo tratta, in tutto e per tutto, esattamente come un film di quel periodo.
Cosa vuol dire, questo? Vuol dire che non è consapevole di vivere nel 2023? Tutt’altro.
Vuol dire che i tempi e i modi, gli stili e i sentimenti, sono quelli di una volta, ricercati e abbracciati, ma anche in qualche modo connotati da una morbida vibrazione sotterranea è tutta contemporanea, e in ogni caso capaci di funzionare benissimo nel presente.
Per capire meglio, basta pensare alla colonna sonora del film, esemplare da questo punto di vista: una colonna sonora che affianca Damien Jurado a Cat Stevens, che appaiono e suonano in una sincronia ideale e miracolosa.

Quella che Payne racconta in The Holdovers, è una storia che nasce da un copione non suo: è di David Hemingson, uno che sorprendentemente viene dalla tv. Non accadeva dai tempi di Nebraska. Ma non importa.
Non è nemmeno una storia particolarmente nuova, o della quale non è facile prevedere gli esiti: è una storia che comincia quasi richiamando alla memoria The Breakfast Club di John Hughes, e che sai benissimo andrà a finire in quel modo lì, evocando le atmosfere dell’Attimo fuggente di Peter Weir e Tom Schulman. Senza gente che sale sul banco e declama Walt Whitman, ma a suo modo forse altrettanto toccante, perché è un modo più sobrio e impacciato. Più reale, meno lirico.

Tutto il film, a modo suo, è sobrio e impacciato.
Sobri e impacciati sono sicuramente i suoi protagonisti, specialmente i due maschili: il professore rigido e pendante di Paul Giamatti, erede del Nicholson di A proposito di Schmidt, reso vulnerabile dallo strabismo evidente, la passion per il Jim Beam e da disfunzione ghiandolare che rende particolarmente acre il suo odore corporeo, e lo studente sempre sospeso tra ortodossia e ribellione, vitalità e depressione, del sorprendente Dominic Sessa, fenomenale scoperta di Payne.
Sobria e impacciata, dal lutto per un figlio morto in Vietnam, anche la cuoca interpretata da Da'Vine Joy Randolph.
Tre personaggi scritti benissimo (e interpretati in maniera inappuntabile e intensa), costretti dal caso o da sé stessi a trascorrere le vacanze di Natale assieme, nell’esclusivo collegio maschile nei pressi di Boston destinato a formare i futuri studenti della Ivy League, e quindi la futura classe dirigente degli Stati Uniti d’America.
Ovvio e inevitabile che la convivenza tra i tre, e soprattutto tra il professore e lo studente, sarà destinata a scardinare equilibri sballati, a far saltare tappi e convenzioni, a svelare verità nascoste e spingere verso una nuova idea di sé e della propria vita.

Il segreto della riuscita di The Holdovers sta nei toni e nelle misure, nell’abilità con cui si evitano le trappole narrative più evidenti sterzando all’ultimo in direzioni sicuramente nuove quando non inaspettate, nella lenta e inesorabile costruzione di un mondo fisico e psicologico nel quale lo spettatore finisce col cadere con tutte e due le scarpe, e con la voglia di esplorarlo e comprenderlo al pari, e insieme, ai personaggi protagonisti.
Quello che Payne mette sullo schermo, attraverso le belle immagini fotografate da Eigil Bryld, che racconta un New England non dissimile dalla natìa Danimarca, è una vicenda di scoperta, di un viaggio che non è tanto fisico, verso Boston, ma più lungo, complesso e tortuoso dentro sé stessi.
Quel che Payne propone, insomma, è l’esperienza di un’introspezione, di una migliore e più sincera e completa conoscenza di sé stessi allo scopo ci conoscere meglio e più sinceramente il mondo.
Qualcosa che, in quest’era così superficiale e ipocritamente ipersensibile, non è affatto scontata.
Prima ancora, quel che Payne mette sullo schermo, è un film ben fatto e curato, privo di sciatterie e di ambizioni eccessive, dove a contare non sono gli effetti o la tecnica, la teoria o l’intelletto, ma l’elemento umano. Quello capace di agganciarsi al sentimento, dolce o amaro che sia, e farsi universale.
Se ha un limite, semmai, è proprio in questa sua natura impeccabile, candida, che a volte fa sorgere il sospetto di una programmaticità magari eccessiva ma anche, in fin dei conti, tranquillamente trascurabile.

di Federico Gironi
Critico e giornalista cinematografico
Programmatore di festival