Lista visioni cinematografiche di Luciano


 
 The Dreamers - I sognatori (The Dreamers)

 
pic_movie_1740   NUM   1740  
  DATA E CINEMA   2024.01.15 FIUME  
  RASSEGNA   CINEMA RITROVATO  
 
     
  REGISTA   Bernardo Bertolucci  
  ATTORI   Louis Garrel, Eva Green, Michael Pitt, Robin Renucci, Anna Chancellor, Florian Cadiou, Anna Karina, Jean-Pierre Kalfon, Jean-Pierre Léaud  
  PRODUTTORE   Jeremy Thomas  
  SCENEGGIATORE   Gilbert Adair  
  COMPOSITORE    
  PAESE   Italia, Francia, Gran Bretagna  
  CATEGORIA   Drammatico  
  ANNO   2003  
  DURATA   130 minuti  
  LINGUA    
  SOTTOTITOLI    
  URL   https://www.comingsoon.it/film/the-dreamers-i-sognatori/427/scheda/  
 
 
 

DESCRIZIONE   The Dreamers - I sognatori è un film del 2003 diretto da Bernardo Bertolucci.
Matthew (Michael Pitt) è uno studente americano che decide di passare un periodo di tempo a Parigi per imparare il francese proprio durante il maggio della rivoluzione sessantottina.
Presso la Cineteca nazionale, il ragazzo incontra Isabelle (Eva Green) e Theo (Louis Garrel), due fratelli gemelli estrosi e fuori dalle righe. Tra i tre scatta qualcosa e, complice il fatto che i genitori dei due siano fuori città per un mese, Matthew si trasferisce a casa loro. Il giovane americano, educato in maniera rigida e tradizionale, si trova travolto dalle particolari dinamiche che si creano con i due fratelli.
Alla base di questo rapporto c’è la passione per il cinema e per l’arte che li accomuna, ma anche una certa tensione erotica che si rivela ben presto nei suoi risvolti incestuosi. Tra emozioni e giochi mentali che vanno via via facendosi più estremi, Matthew si trova a gestire un rapporto che non avrebbe mai pensato di poter avere...

CURIOSITÀ SU THE DREAMERS - I SOGNATORI
Il film si è aggiudicato il Globo D’Oro per la migliore fotografia.
I tre protagonisti hanno posato come modelli per una campagna pubblicitaria di Giorgio Armani chiamata proprio Dreamers.
Il film ha segnato il debutto cinematografico di Eva Green.
 

COMMENTO   È un curioso quanto inedito ritorno “familiare”, con la famiglia di nuovo al centro del contesto filmico (anche se nelle versioni più strampalate e assurde), il contesto attuale in cui arriva The Dreamers. I sognatori di Bernardo Bertolucci, tornato in sala oggi a vent’anni dall’uscita nella versione restaurata dalla Cineteca di Bologna. Non sembra un ritorno conservatore o, nuovamente, dissolutore. È come se dei rapporti familiari, quei legami che ci accompagnano sin dalla nascita, non se ne possa proprio fare a meno, anche se ormai inservibili, vacui e disperati. E invece è proprio la speranza, magari nelle vesti raccontate a suo tempo dal filosofo marxista Ernest Bloch, il cuore pulsante di The Dreamers. I sognatori. Certo c’è la triade “essenziale” politica-cinema-sesso, vero asse scardinante del sessantotto, che Bertolucci, complice il romanzo di Gilbert Adair (che sceneggia) riproduce con grande scioltezza narrativa.

Ma, come spesso accade per il cinema del regista parmense, non è mai ciò che appare a prima vista il cuore rivelatore dei suoi film, e questo The Dreamers può avere delle valenze molto diverse, a secondo di come ci mettiamo a guardarlo, di come ci poniamo di fronte allo schermo. La cinefilia viene omaggiata (“ci mettevamo nelle prime file per essere presi per primi dalle immagini”), tra un ’68 che sembra nascere dalla rivolta contro la rimozione di Langlois alla Cinematheque (con Bertolucci che scortica il rapporto fiction/ documentario attraverso l’icona di Jean-Pierre Léaud, che legge “da adulto” un arringa alla folla e, in bianco e nero, giovanissimo nei documenti d’epoca) e i giochi sui film che i tre giovani amici ventenni si ritrovano a fare nell’appartamento “tutto per loro” dopo che i genitori di Théo e Isabelle sono partiti. Borghesi figli di borghesi, studenti, con molto tempo a disposizione. Perché per fare la rivoluzione ci vuole, innanzitutto, tempo. Tempo da vivere, soprattutto. Ovvero voglia desiderio possibilità di un futuro. Ecco quello che spicca, nascostissimo tra le pieghe del racconto che sembra ammiccare allo spettatore come a volergli “regalare” un sessantotto mitologico. No. Non era così. Come racconta Adair: “Mio Dio ma eravamo veramente così ingenui, ci vestivamo veramente così male? Ma al tempo stesso mi sembra che sia stato il periodo più felice della mia vita…“. Perché oggi, dopo “tutto”, dopo la “fine della storia”, la fine delle storie da raccontare (questo è un dramma maggiore, il vuoto dell’immaginario) le parole i gesti e le discussioni dei giovani di 35 anni fa appaiono lontane, lontanissime. E sembrano davvero banali. Come se il sesso liberato, il cinema “rigirato” e la politica rovesciata di segno ci fossero sempre stati. No. Non ci sono sempre stati.

Semmai quello che mancava ai giovani di quella generazione, e Bertolucci appare implacabile nello svelamento del limite, è l’ironia, che invece divenne l’arma dei loro fratelli minori, poco meno di dieci anni dopo… Ecco che Bertolucci prende Théo e Isabelle, i due fratelli gemelli della famiglia parigina illuminata (il padre è un poeta, come Attilio…) e li unisce all’amico americano Matthew, che dopo aver superato le varie prove può finalmente diventare “uno di loro” (e non a caso Bertolucci cita Freaks, perché tali erano considerati i giovani allora, e oggi il termine freakkettone ce lo siamo dimenticati…), unirsi al gruppo di tre, numero perfetto, come in Bande à part di Gordard e Jules e Jim di Truffaut. E allora mentre la rivolta e la politica entrano solo a tratti nella casa-vita dei tre ragazzi, il cinema è tutto dentro, un gioco-cinema continuo, seducente e invasivo, luogo terminale della complicità totale dei loro, ancora innocenti, corpi. Niente che scandalizzi oggi, perché il mondo, noi, il cinema, è lontano mille miglia dalle atmosfere raccontate trent’anni fa sempre a Parigi in Ultimo tango a Parigi. Oggi non scandalizza più nulla, tantomeno il sesso. Che infatti Bernardo non “usa” come grimaldello per scardinare le strategie della visione (ovvero per restituire piacere allo sguardo), ma come puro territorio della microstoria, quella privata (cioè politica!), che cambiò il mondo. Perché lo strumento in più di quella generazione, l’unico elemento tramandato di generazione in generazione senza, quasi, soluzione di continuità, non fu la rivolta contro lo Stato, l’economia capitalistica, o il colonialismo e le politiche internazionali. Fu la vita privata, il personale, e da allora in poi la famiglia (tornando al tema iniziale) è letteralmente deflagrata. Sostituita da un vuoto/ mancanza che schiude gli orizzonti, perché altre forme sociali di vita non hanno funzionato (o è la singletudine la felicità dell’uomo postmoderno?).

Bertolucci vede una grande malinconia (beato lui, noi la chiameremmo tristezza…) nei ragazzi del nostro tempo, e questo film, più che un omaggio al passato, sembra essere una deliziosa dolce infinita carezza rivolta a chi, oggi, ha bisogno di provare a immaginarsi il futuro, riacquisendo il senso autentico e forte della speranza. Che poi il film diventerà un mito per i cinefili, pazienza. Noi a quelli lì abbiamo sempre preferito i mangiatori di film… Ma perché Bernardo non ha messo un qualsiasi ricordo omaggio al “mangiatore di film” per eccellenza, Enzo Ungari? Che avrebbe amato The Dreamers, ma non per il cinema, il sesso, la politica (che qui sono come l’aria e “respirano” tutto il film), ma per quel misterioso senso che ci attanaglia tutti (e tutti i sensi)…il magnifico e ophulsiano piacere.

Recensione di Federico Chiacchiari - 8 gennaio 2024
(da https://www.sentieriselvaggi.it/the-dreamers-i-sognatori-di-bernardo-bertolucci/)
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Filigrana di un cinema dei ricordi, nostalgica memoria di un vissuto, al contempo, privato e collettivo, The dreamers è la storia controversa di tre studenti, men che ventenni, due gemelli francesi, Théo e Isabelle (L. Garell e E. Green), e uno americano, Matthew (M. Pitt),che si incontrano a Parigi nei mesi che precedono la contestazione del maggio del '68. I due decidono di ospitare il nuovo amico nel loro appartamento, approfitando della temporanea assenza dei genitori. I tre appassionati di cinema, nonché assidui frequentatori della Cinémathèque, si divertono a sfidarsi nel riconoscere, attraveso una breve imitazione di una scena, il titolo del film corrispondente, pagando una penitenza in caso di errore. Ed è proprio questo gioco, innocente nella sostanza, a trascinare i tre giovani alla scoperta del piacere e dell'abbandono reciproco. E se l'abbandono tra Matthew ed Isabelle è mostrato senza scarti dalla macchina da presa, le latenze omosessuali ed incestuose, presupposte da gesti e sguardi incontrovertibili, sono relegate al fuori campo, lasciando lo spettatore nell'incertezza di una soluzione definitiva. Tra ricordi autobiografici, citazioni cinematografiche, frammenti di Storia, confessioni voyeuristiche, lo sguardo di Bertolucci, sognante e nostalgico, crea un film al tempo presente grazie all'estetica esibita dei corpi su cui è iscritta la contemporaneità di una cura narcisistica tipica dei nostri giorni. In contappunto, per rimarcare ancora di più questa distanza dal passato, Léaud e Kalfon (attori feticcio degli autori della Nouvelle Vague), invecchiati, sono chiamati a reinterpretare lo stesso gesto rivoluzionario compiuto anni prima (rileggono i discorsi pronunciati il 14 febbraio 1968 nella manifestazione contro la sospensione, per volere del Ministro Malraux, da presidente della Cinémathèque di Henri Langlois, ricostruita all'inizio del film).

Recensione di Remo Valilutto - 6 maggio 2012
(da https://www.mymovies.it/film/2003/thedreamers/pubblico/?id=630871)
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È curioso che i due "enfants terribile" del cinema italiano inizi anni 60, Bellocchio e Bertolucci, abbiano quasi contemporaneamente girato due film rispettivamente sulla fine e sull’inizio della Grande Utopia, scegliendo entrambi però di non parlarne affatto…..e comunque preoccupandosi di dare un’immagine matura e moderata, l’uno rivalutando la figura del Padre (identificandola con Moro) e l’altro enfatizzando il discorso sull’inutilità della violenza (nell'invettiva di Matthew nell’ultima scena). Ma veniamo ai fatti: è la storia di Theo e Isabelle, gemelli, con relativo legame sconvolgente ed unico. Essi vivono di immaginario cinematografico, quando non sono in cineteca a gustarsi Samuel Fuller o Fred Astaire, Godard o Greta Garbo, Freaks o Mouchette, vivono chiusi in casa fingendo sempre come in un film, o replicando le finzioni viste sullo schermo; e la finzione diventa vita in tutte le sue manifestazioni, sesso e morte compresi. Incontrano Matthew, studente americano e sentendolo affine lo fanno partecipe della loro "rappresentazione". È soltanto un aborto di vita, però, questo rapporto, perché i due gemelli (e viene il sospetto che potrebbe trattarsi di una sola persona con due identità sessuali) sono troppo ancorati al loro mondo interiore. Finché un giorno la Storia, quella vera, li scuote arrivando con un sasso dalla finestra di casa, impedendo la morte di Isabelle ma proiettandoli nella realtà. È l’infanzia perduta, o soltanto la continuazione della finzione?
Questa è anche la storia di una rivoluzione mai cresciuta, di un' illusione rimasta tale, che tuttavia ha segnato definitivamente la vita di noi tutti perché da allora nulla è stato mai più uguale, nel bene e nel male e forse le vere rivoluzioni sono queste, le metamorfosi del pensiero e del modo di vivere. E l’entusiasmo dei ragazzi evocato nel film è un fermento, una speranza che, a detta dell’autore, mancherebbe alle nuove generazioni.
Trattandosi di illusioni infine questa NON PUÒ NON essere pure la storia dell’illusione cinematografica: The Dreamers, intitola Bertolucci, quasi accreditando l’antico luogo comune cinema=sogno ma nel film ricorda altresì la frase dei Cahiers du cinema secondo cui il regista è voyeur che spia dal buco della serratura, come lui stavolta, appunto, spia tre sognatori del '68.

Recensione di Alessandro Pesce - 19 febbraio 2004
(da https://www.mymovies.it/film/2003/thedreamers/pubblico/?id=11718)