Lista visioni cinematografiche di Luciano


 
 The Old Oak (The Old Oak)

 
pic_movie_1717   NUM   1717  
  DATA E CINEMA   2023.11.22 FIUME (CINEF 59-11)  
  RASSEGNA   CINEFORUM CHAPLIN  
 
     
  REGISTA   Ken Loach  
  ATTORI   Dave Turner, Ebla Mari, Debbie Honeywood, Chris Gotts, Rob Kirtley, Andy Dawson, Maxie Peters, Lloyd Mullings, Reuben Bainbridge  
  PRODUTTORE   Sixteen Films  
  SCENEGGIATORE   Paul Laverty  
  COMPOSITORE   George Fenton  
  PAESE   Francia  
  CATEGORIA   Drammatico  
  ANNO   2023  
  DURATA   113 minuti  
  LINGUA    
  SOTTOTITOLI    
  URL   https://www.comingsoon.it/film/the-old-oak/62498/scheda/  
 
 
 

DESCRIZIONE   The Old Oak, film diretto da Ken Loach, è incentrato su un villaggio del nord-est dell'Inghilterra. Dato che le miniere del paesino sono state chiuse, le persone, in particolare i giovani, stanno abbandonando la terra. È così che quella che un tempo era una fiorente comunità, si ritrova piena di rabbia, risentimento e senza un briciolo di speranza per il futuro.

Le case tornano disponibili e a un prezzo economico, offrendo un posto sicuro ai rifugiati siriani giunti in Gran Bretagna negli ultimi anni. Ma come saranno accolti i siriani dalla gente del posto? E cosa ne sarà di The Old Oak, l'ultimo pub del villaggio?

PANORAMICA SU THE OLD OAK
Come affermato dallo stesso regista ottantasettenne Ken Loach, The Old Oak potrebbe essere il film conclusivo della sua lunga carriera dietro la macchina da presa, tesa a raccontare le storie dei ceti meno abbienti. Presentato in anteprima al Festival di Cannes 2023, il film è una coproduzione tra Regno Unito, Francia, Belgio ed è stato girato nella contea di Durham - nel nord est dell’Inghilterra - proprio come le sue ultime due pellicole Io, Daniel Blake (2016) e Sorry We Missed You (2019). La sceneggiatura è stata scritta dal pluripremiato Loach congiuntamente con Paul Laverty, suo collaboratore di lunga data: egli è noto per aver vinto il Premio per la miglior sceneggiatura al Festival di Cannes nel 2002 grazie a Sweet Sixteen (2002). Anche per il resto, il regista britannico si è circondato del suo team di fiducia, tra cui figurano altri collaboratori ben rodati: il direttore della fotografia Robbie Ryan e il compositore George Fenton.

FOCUS SU THE OLD OAK
I rifugiati siriani sono civili che hanno dovuto fuggire dal loro paese d’origine, in seguito allo scoppio della violenta guerra civile in Siria, iniziata nel 2011. Per scappare dagli orrori del conflitto, moltissimi siriani hanno cercato rifugio nelle nazioni limitrofe, tra cui Giordania, Libano, Turchia, e Iraq. A partire dal 2014, parte di essi ha iniziato a cercare rifugio anche nei paesi dell’Unione Europea, contribuendo al crearsi di quella che è stata definita una ‘crisi migratoria’ in Occidente. Come affermato da António Guterres - segretario generale delle Nazioni Unite dal 2017 - la crisi dei rifugiati siriani è da considerarsi una delle emergenze umanitarie più importanti della nostra epoca.
 

COMMENTO   ________________________________

L’Old Oak è un pub. Il pub di un piccolo villaggio inglese a due passi dal mare nella contea di Durham, a due passi da Newcastle. Nord-est inglese. Zona, un tempo, di miniere. Miniere e minatori di quelli che, negli anni Ottanta, ingaggiarono un durissimo braccio di ferro con Margaret Thatcher. Perdendolo. Facevano squadra tra loro, le famiglie dei minatori in sciopero. In una sala oramai chiusa e abbandonata dell’Old Oak, tra le foto di quegli anni, c’è un motto: “If we eat together we stick together”: se mangiamo assieme, rimaniamo un gruppo unito.

Le miniere oramai non ci sono più, e il villaggio è preda di una povertà che, come si dice a un certo momento nel film, non è accettabile in uno dei paesi più ricchi del mondo. Lì, in quel villaggio, vengono collocate alcune famiglie di profughi provenienti dalla Siria, e la reazione è facilmente immaginabile, anche in Italia: perché - lo dice, ancora una volta il film - è tanto più facile sfogare problemi e frustrazioni con chi sta peggio di noi, con chi possiamo calpestare, invece che prendercela con chi sta in alto.

C’è però un uomo a fare eccezione: TJ Ballantyne, il padrone di quel vecchio pub malmesso e con pochi, arrabbiati clienti. TJ ha avuto la sua razione di problemi, nella vita, ma non ha dimenticato gli insegnamenti del padre minatore e della madre, quella del motto appeso nella sala grande. È lui che stringe amicizia con la più intraprendente delle siriane arrivate nel villaggio, quella che parla inglese ed è appassionata di fotografia, Yara. E sarà lui, vincendo resistenze, e sfidando certi vecchi amici o presunti tali, a fare qualcosa di concreto, per quelle famiglie nuove e per quelle altre che se la passano male, nella loro comunità.

Comunità. È questa la parola chiave di The Old Oak, che sul pressbook risulta giustamente come “un film di Ken Loach e Paul Laverty”, visto che la sceneggiatura di questo film è notevole e fondamentale. Perché non è solo un film sul razzismo quello di Loach e Laverty. In più, quando lo è, lo è nella misura in cui parla di un razzismo che ha poco a vedere con l’ideologia, il colore della pelle e la lingua di qualcuno, ma piuttosto con quanti soldi si hanno nel portafogli. Quello che Loach e Laverty raccontano, attarverso questa storia davvero incredibilmente universale, è vedere come da quarant’anni a questa parte il tessuto sociale si sia disgregato sotto le spinte dell’economia liberista, e parole come comunità e solidarietà si siano sbriciolate anche e soprattutto in quei luoghi dove un tempo erano centrali. Fondative.

Negli ultimi anni e negli ultimi film, in film come Io, Daniel Blacke e Sorry We Missed You, Loach aveva mostrato quello che ritenevo e ritengo uno schematismo ideologico troppo rigido, e poco cinematografico. Certo, partiva sempre da questioni oggettivamente sacrosante, e le affrontava con condivisibile passione, ma la sua voglia di denuncia e il suo sdegno si trasformavano in una programmaticità di struttura e sventure che finiva col creare un distacco con quanto avveniva sullo schermo. Che faceva la voglia di dire all’inglese, in qualche modo, “Ken, anche meno”.

Qui, in The Old Oak, Loach e Laverty hanno ritrovato un equilibrio invidiabile e una semplicità e forza di racconto commovenie.
Nel film si sono tutte le realtà dure e assurde della nostra contemporaneità, anche quelle con cui tanti di noi si scontrano tutti i giorni: la guerra (le guerre, anche fra poveri), i problemi economici, le frustrazioni, i dolori privati, l’egoismo e il razzismo di alcuni. Eppure, The Old Oak racconta anche come conservare il barlume della speranza, della vita, sia l’unico modo per andare avanti, e migliorare le cose. Senza mai miracoli irrealistici, tra difficoltà, ostacoli, scetticismi, stanchezze e il sorriso velenoso di chi vorrebbe solo che le cose non cambiassero mai per continuare a lamentarsi, ma con risultati chiari, e possibili.

Loach e Laverty ricordano l’orrore e lo scandalo di una guerra, quella in Siria, atroce e colpevolmente dimenticata dall'Occidente e, sebbene non tralascino affatto le problematiche di casa loro, ci ricordano che chi fugge da qualcosa del genere sta comunque peggio di noi, quali che siano le nostre condizioni. Raccontano che attorno a un tavolo, condividendo lo stesso cibo, ci si può conoscere e ci si può comprendere.
Chi non vorrà farlo ci sarà sempre, ma una volta stabilito quel legame, sarà difficile farlo spezzare. E se il legame non si spezza, se la comunità è ricostruità, per il futuro c’è speranza.

E questa volta, alle tematiche di cui abbiamo sempre più bisogno, i due associano un cinema semplice, limpido, pulito, equilibrato e realistico nel mostrare le luci e le ombre, i guai e le sorprese positive. Senza mai insistere troppo, in un caso come nell’altro, sapendo sempre quando è il caso di allontanare la macchina da presa, di far tacere qualche personaggio, lasciando che negli spazi lasciati liberi sia la nostra partecipazione, e la nostra commozione, a farsi avanti prepotente.

di Federico Gironi
Critico e giornalista cinematografico
Programmatore di festival