Lista visioni cinematografiche di Luciano


 
 Assassinio a Venezia (A haunting in Venice)

 
pic_movie_1703   NUM   1703  
  DATA E CINEMA   2023.09.21 PINDEMONTE  
  RASSEGNA    
 
     
  REGISTA   Kenneth Branagh  
  ATTORI   Kenneth Branagh, Kyle Allen, Camille Cottin, Jamie Dornan, Tina Fey, Jude Hill, Ali Khan, Emma Laird, Kelly Reilly, Riccardo Scamarcio, Michelle Yeoh, Amir El-Masry  
  PRODUTTORE   20th Century Studios  
  SCENEGGIATORE   Michael Green  
  COMPOSITORE   Hildur Guðnadóttir  
  PAESE   USA  
  CATEGORIA   Thriller, Giallo  
  ANNO   2023  
  DURATA   minuti  
  LINGUA    
  SOTTOTITOLI    
  URL   https://www.comingsoon.it/film/assassinio-a-venezia/62363/scheda/  
 
 
 

DESCRIZIONE   Assassinio a Venezia, il film di Kenneth Branagh, è ambientato nella Venezia del secondo Dopoguerra, precisamente alla vigilia di Ognissanti. In questo sinistro scenario viene commesso un delitto e per risolvere il terribile mistero viene convocato l'investigatore Hercule Poirot (Kenneth Branagh), sebbene sia in pensione e in esilio volontario a Venezia.
Poirot prende parte, seppur riluttante, a una seduta spiritica, che si tiene in un palazzo spettrale, ma quando uno degli ospiti viene trovato morto, il detective dovrà mettersi all'opera per scovare l'assassino in un inquietante mondo pieno di ombre e segreti.

PANORAMICA SU ASSASSINIO A VENEZIA
Kenneth Branagh torna al cinema con il terzo capitolo della serie su Poirot, dopo il successo di Assassinio sull'Orient Express (2017) e Assassinio sul Nilo (2022). Se vi aspettate un fedele adattamento del romanzo Poirot e la strage degli innocenti di Agatha Christie, però, questa volta forse rimarrete delusi. Lo stesso Steve Asbell, presidente dei 20th Century Studios, confermando la lavorazione del film, aveva dichiarato: "Abbiamo una terza sceneggiatura pronta, scritta da Michael Green, che è un cambiamento piuttosto audace nel genere e nei toni".
L'obiettivo del regista è quello di stupire il pubblico e coinvolgerlo nelle indagini, sviluppando il suo personaggio sulla base di uno dei racconti meno noti della scrittrice britannica, e ambientando la storia nella Venezia del secondo dopoguerra "in una città incantevole dal punto di vista visivo. È un'opportunità straordinaria per noi filmmaker, e stiamo assaporando la possibilità di offrire qualcosa di veramente da brividi" - ha spiegato Branagh.
Rispetto al libro, dunque, niente campagna inglese e festa di Halloween, ma laguna veneziana e seduta spiritica. Sebbene sia stato inserito l'elemento horror rispetto agli episodi precedenti, "la pellicola e la trama non sono così gotici come potrebbero sembrare. Direi che è fermamente un thriller soprannaturale e le normali regole non si applicano. C'è, senza dubbio, il mistero. Nelle opere di Agatha Christie c'è la possibilità di una conversazione che sovverte il genere, quindi siamo certamente felici, come lo era lei e lo è Michael, di spaventare le persone" - ha aggiunto il regista.
Alla genesi del progetto c'è indubbiamente la volontà di creare quella sensazione di nodo allo stomaco negli spettatori: Poirot deve affrontare alcuni fantasmi in questa lunga e oscura notte dell'anima, ovvero l'intrappolamento in un palazzo infestato durante una terribile tempesta, ma allo stesso tempo vogliamo intrattenere, deviare, costringere e spaventare" - ha dichiarato.
Anche in questa occasione il cast è stellare: tra gli attori c’è il Premio Oscar Michelle Yeoh, che a detta di Branagh ha incarnato perfettamente un senso di spettacolarità e gravità; anche Tina Fey, descritta come "una persona che dà il meglio, che ha nitidezza, agilità mentale e sfacciataggine". Dalla squadra di Belfast (2021) tornano Jamie Dornan e Jude Hill, che anche qui interpretano padre e figlio: "È stato fantastico trarre vantaggio da quel rapporto, cameratismo e storia che avevano maturato sul set precedente. È stato di grande aiuto e ha avuto un impatto positivo sull'ensemble" - ha confessato Branagh. Nella squadra anche il nostrano Riccardo Scamarcio.

«Un personaggio a un certo punto afferma: Le storie spaventose rendono la vita meno spaventosa. Certo, ma possono sicuramente rendere memorabile l'esperienza al cinema» (Kenneth Branagh).

«Rimaniamo grati a James Prichard e al resto dei nostri amici di Agatha Christie, Ltd., per la loro collaborazione e per averci affidato ancora una volta, come Poirot si definisce modestamente, probabilmente il più grande detective del mondo» (Steve Asbell, presidente dei 20th Century Studios).
 

COMMENTO   Il romanzo "Poirot e la strage degli innocenti", ambientato in Inghilterra alla fine degli anni Sessanta, è la base per una vicenda che si svolge nella Venezia del 1947 (in una Venezia davvero molto americana, dove si suppongono plausibili della palesi implausibilità geo-climatiche, e perfino architettoniche) e che mette Poirot di fronte a un nemico inaspettato: il dubbio. Emblema massimo dell’intelligenza logico-matematica, maestro e promotore di ordine e di metodo, Poitot si trova costretto dalle circostanze a fare i conti con il suo opposto: con l’irrazionalità dello spiritismo, dei fantasmi, financo della fede. L'impressione è che a Branagh il giallo e la sua risoluzione non interessino granché, e che si diverta con gli jumpscare da un lato e con le porte della percezione del suo personaggio dall'altro. (Federico Gironi - Comingsoon.it)
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Per i primi due film da lui diretti e interpretati nei panni del detective belgioso Hercule Poirot, Kenneth Branagh si era basato su due dei romanzi più noti del ciclo firmato da Agatha Christie, "Assassinio sull’Orient Express" e "Assassinio sul Nilo". Ora invece il romanzo di partenza è meno noto, e assai più tradito. Al cinema “Poirot e la strage degli innocenti”, pubblicato nel 1969 e ambientato nella piccola cittadina inglese di Woodleigh Common, diventa Assassinio a Venezia (trovate ahimè il romanzo della Christie in libreria ripubblicato anche lui con questo titolo), dove il setting è appunto quello della Serenissima, e l’anno è il 1947. Rimangono come punti in comune alcuni personaggi, certe linee di trama, e il fatto che la storia si svolga la notte di Ognissanti.

Fin dal trailer, infatti, Assassinio a Venezia - in una Venezia davvero molto americana, dove si suppongono plausibili della palesi implausibilità geo-climatiche, e perfino architettoniche - ci è stato presentato quasi come un horror. Di sicuro come il film nel quale Poirot, emblema massimo dell’intelligenza logico-matematica, maestro e promotore di ordine e di metodo, si trova costretto dalle circostanze a fare i conti con il suo opposto: con l’irrazionalità dello spiritismo, dei fantasmi, financo della fede.

E se è vero che l’investigatore ci mette poco a smantellare il teatrino ordito da una ciarlatana di livello superiore a quello dei suoi colleghi, e a carpire i segreti di una presunta seduta spiritica, più complicato per lui sarà trovare il bandolo della matassa di fronte a alcune morti poco spiegabili, e legate a un’altra morte - dolorosa e misteriosa anch’essa - che è nel passato dei personaggi che lo circondano.

Continua, in un certo senso, il percorso di umanizzazione del personaggio creato dalla Christie da parte di Branagh, che se in Assassinio sul Nilo, oltre a fare una origin story dei suoi leggendari baffi, aveva aperto crepe sentimentali nella sua imperturbabile corazza, qui gli fa fare i conti con qualcosa di ancora più metafisico. E con qualcosa che solitamente Poirot non incontra sul suo cammino: il dubbio. Gli strani fenomeni che paiono verificarsi in una grande e maledetta dimora veneziana (tutta ricostruita negli studi di Londra, compresa una cantina…), e che Poirot stesso sembra non sapersi spiegare, sono reali o no?

Distratto dalla voglia di giocare coi meccanismi più diffusi di un certo modo di fare horror, e quindi con la banalità dello jumpscare, in un film che fin dalle prime scene pare voler esplicitare la sua passione per la natura meccanica e artificiosa del cinema e del pre-cinema, Branagh si preoccupa ancor meno del solito dello whodunit, lasciando in bella vista indizi che sono sufficienti anche ai meno attenti per capire perlomeno alcune dinamiche dell’intrigo. E forse anche di spingere i suoi attori a far qualcosa di più di un minimo sindacale, riducendoli - anche loro - a figurine un po’ automatiche.
Da attore e da regista, concentra il suo divertimento su di sé, e sul suo personaggio, capace di trovare logica nell’illogico anche quando - in tutta evidenza, complice una lunga inattività, una brutta botta in testa e altro ancora - non è al massimo della forma.

Ancora di più, si concentra sul dubbio, lasciando intravedere anche nel finale una nuova, ben accetta crepa nell’armatura del belga. Che non è fragilità ma apertura mentale. Non avrà spalancato le porte della percezione, Poirot, ma ha permesso a sé stesso di mettere il naso in uno spiraglio. Nel segno del rinascimento psichedelico o della voglia di essere meno rigido e più possibilista sulle cose della vita e del mondo.

di Federico Gironi
Critico e giornalista cinematografico
Programmatore di festival