Lista visioni cinematografiche di Luciano


 
 Profondo Rosso (Profondo Rosso)

 
pic_movie_1692   NUM   1692  
  DATA E CINEMA   2023.08.29 PINDEMONTE  
  RASSEGNA   CINEMA RITROVATO  
 
     
  REGISTA   Dario Argento  
  ATTORI   David Hemmings, Daria Nicolodi, Gabriele Lavia, Macha Meril, Eros Pagni, Glauco Mauri, Piero Mazzinghi, Aldo Bonamano, Clara Calamai, Giuliana Calandra, Liana Del Balzo, Nicoletta Elmi  
  PRODUTTORE   Rizzoli Film, Seda Spettacoli  
  SCENEGGIATORE   Dario Argento, Bernardino Zapponi, Giuseppe Basan  
  COMPOSITORE   Goblin, Giorgio Gaslini  
  PAESE   Italia  
  CATEGORIA   Horror, Giallo, Thriller  
  ANNO   1975  
  DURATA   130 minuti  
  LINGUA    
  SOTTOTITOLI    
  URL   https://www.comingsoon.it/film/profondo-rosso/15791/scheda/  
 
 
 

DESCRIZIONE   Profondo rosso, film thriller diretto da Dario Argento, segue le vicende di uno spietato serial killer che commetterà una serie di terribili omicidi, tutti accompagnati da una canzoncina in sottofondo, interpretata dalla voce candida di un bambino. Tutto ha inizio quando, durante una conferenza su fenomeni telepatici e paranormali, la sensitiva tedesca Helga Ulmann (Macha Méril) percepisce che tra gli spettatori in sala c’è un assassino. Dopo aver confessato la sua sensazione a un suo collega, il professor Giordani (Glauco Mauri), la dottoressa torna a casa dove viene trucidata senza pietà dal maniaco con una mannaia da macellaio.

Testimoni dell’omicidio sono Marc Daly (David Hemmings), pianista jazz inglese che abita nello stesso edificio di Helga, e il suo amico Carlo (Gabriele Lavia), un uomo depresso e alcolizzato. Subito dopo l’accaduto, arrivano sul posto il commissario Calcabrini (Eros Pagni) e la reporter Gianna Brezzi (Daria Nicolodi), per cominciare immediatamente le indagini. Nonostante i sospetti ricadano su Daly, l’uomo decide di affiancarsi alla giornalista e indagare per prendere finalmente il serial killer. Questo lo porta ad attirare l’attenzione dello stesso assassino che, una sera, riesce a entrare in casa sua e, con il solito sottofondo, cerca di aggredirlo. A salvargli la vita, però, è una telefonata di Gianna che, cogliendo di sorpresa il maniaco, permette a Marc di chiudersi in un’altra stanza. Le ricerche si fanno sempre più fitte e portano alla scoperta di un probabile trauma psicologico che lega il killer alla musichetta corale: il suo primo omicidio. Seguono una serie di morti brutali che avvicinano sempre di più l’uomo alla verità. Riuscirà Marc a scoprire la vera identità dell’assassino o sarà l’ennesima vittima della sua ferocia spietata?

CURIOSITÀ SU PROFONDO ROSSO
Il film segna il passaggio tra la fase thriller del regista, iniziata con L'uccello dalle piume di cristallo (1970) e quella horror intrapresa con Suspiria (1977). Inizialmente il ruolo di Marc doveva essere assegnato a Lino Capolicchio, che rifiutò in seguito a un incidente automobilistico che lo bloccò in una lunga convalescenza.
Le mani dell'assassino, coperte dai guanti, sono in realtà le mani di Dario Argento. Nella scena in cui Marc chiama Gianna dal bar, lei si trova nella redazione del giornale e ferma una comparsa per prendere appunti: si tratta di Fabio Pignatelli, bassista della band dei Goblin che ha firmato la colonna sonora del film.
Per i 25 anni dall'uscita del film nei nelle sale italiane, Dario Argento e il gruppo dei Daemonia realizzarono un cortometraggio ispirato alla pellicola (2000). Il film è stato adattato a musical teatrale, con la supervisione artistica di Argento, musicato da Claudio Simonetti e diretto da Marco Calindri (2007).
Il film è tornato al cinema nel 2023 in versione restaurata 4K
 

COMMENTO   Nella sua apparenza di un giallo classico e ben strutturato, nasconde il supremo inganno allo spettatore, messo in crisi nella sua percezione delle cose. Da oggi in sala restaurato in 4K.
________________________________

“E’ tutto troppo pulitino, preciso, troppo formale…” Così all’inizio del film il protagonista Marcus Daly si esprime sul jazz, musica che ha la sua parte fondamentale in Profondo rosso: non solo perché ne è l’innegabile commento musicale (il contributo di Giorgio Gaslini è efficace al pari del tema omonimo – pur inconfondibile – dei Goblin), ma soprattutto perché ne è una sorta di leit-motiv strutturale. Profondo rosso è infatti il film del definitivo distacco dalla rigidità della detection, pure al cospetto (o forse proprio in funzione) di una sceneggiatura molto forte, forse la più equilibrata dei suoi film, piena com’è di tracce disseminate, macguffin e colpi di scena che paiono legarlo alla continuity tradizionale del giallo hitchcockiano, ed invece puntano alla loro dissacrazione e al loro superamento.
In Profondo rosso, il regista romano viola il primo comandamento della suspense: mostra il volto dell’assassino dopo pochi minuti. Correndo un rischio incredibile, scherza con la stessa essenza fisiologica del cinema, e cioè con il principio della persistenza retinica. Lo spettatore, assieme a Marcus Daly, sa di aver visto l’omicida, ne è sicuro: eppure non riesce a ricordarlo. “Forse è talmente importante che non te ne rendi conto”, gli dice Carlo quando l’amico gli confida il disagio di non riuscire a richiamare alla mente qualcosa di fondamentale, che gli è rimasto impresso in modo subliminale.
Questo malessere così sottile si percepisce nel momento in cui gli indizi sembrano risolvere il whodunit contro l’evidenza: quando un movimento di macchina (una villa in fiamme, una luce contrastata che illumina il volto di Daria Nicolodi) pare additare la giornalista Gianna come la colpevole; o soprattutto quando più in là è Carlo ad assumersi la responsabilità: sì, è vero, è la logica alla Conan Doyle che ci impone di rifiutare questa realtà – non può essere l’assassino perché in quel momento era insieme al protagonista – ma è anche il fatto che il volto visto nel quadro all’inizio (lo sappiamo, ma non lo comprendiamo) non è il suo.
Su questo incredibile, e letterale, gioco di specchi, Dario Argento costruisce una storia di investigazione che in realtà è solo il suo ennesimo tentativo di portare lo spettatore su false piste, dispiegando il suo piacere di fare cinema e di giocare con le istituzioni del genere: non pago dell’inganno supremo (il cinema, del resto, e l’arte dell’illusione per definizione), si diverte a terrorizzare lo spettatore imponendogli il suo sguardo e il suo ritmo, ribadendo l’assoluto controllo sulla visione.
Un ritmo che, come si è detto, è tipicamente legato al jazz, che torna nel film sia nella colonna sonora che nella professione del protagonista, compositore e pianista. Il richiamo a questo tipo di musica, alla sua estrema elasticità e libertà davanti ai vincoli della partitura, è una dichiarazione di intenti, più che una citazione. Un film quindi che vive di pause (gli intermezzi comici con Eros Pagni), e vere e proprie divagazioni, come le riprese con la Snorkel, o quella celebre del puppet rambaldiano che spunta dal nulla, un effetto speciale morboso nella sua totale gratuità. Vive soprattutto di assolo improvvisi: le splendide sequenze degli omicidi in cui Argento si sente libero di infliggere le più pesanti mutilazioni, esaltando uno spirito quasi tattile e sensuale (armi da taglio, ustioni, denti sugli spigoli).

In questo non-giallo strutturato vanamente a perfezione, Argento si libera in una creazione dello spazio che non si limita più alla costruzione di una città immaginaria – sebbene anche qui il gioco dei set meriterebbe un discorso a parte: l’inarrivabile fascino di Piazza CLN, arricchita dal bar preso di peso da un quadro di Edward Hopper, e il decor liberty di Villa Scott, tutti luoghi torinesi messi fuori contesto – ma anche alla decostruzione degli interni in punti di vista sempre diversi. Solo nella sequenza iniziale, nel Teatro Carignano, ci sono quaranta tagli di montaggio, quasi di tutti da prospettive differenti, tra soggettive insistite dell’assassino e dettagli del volto sconvolto della medium Helga che ne ha percepito la presenza e l’identità (non vedendolo tra l’altro, come a ribadire la natura dell’occhio come organo percettivo di scarsa affidabilità).
Lo spettatore, quindi, non solo soffre la difficoltà di ricostruire la storia da un dettaglio che gli è sfuggito, ma vive anche l’impotenza e il disagio di dover vivere uno spazio dell’azione che non è il suo, ma quello del regista, il suo terreno. Come dimostra lo straordinario dolly, un vertiginoso allargamento di campo, che rivela l’urlo della donna massacrata a Marcus e Carlo che chiacchierano nella piazza, lo spazio di Profondo rosso è uno spazio che può cambiare in ogni momento, a seconda del piacere manipolatorio del regista. Impotenza che il pubblico vive con il protagonista (eppure, è uno dei personaggi più attivi del cinema argentiano), che non riesce mai ad accendersi una sigaretta, che a volte non riesce nemmeno a comunicare (i rumori del bar quando prova a telefonare a Gianna, quelli delle macchine che circondano la cabina quando tenta di contattare Giordani). Ovviamente, Argento non si immedesima soltanto fisicamente con l’assassino (le mani sono sempre le sue), ma anche nel ruolo di istanza narrante (“Sembra sempre sapere in anticipo le nostre mosse!” si lamenta Marcus con Gianna, dopo che i due sono arrivati, per l’ennesima volta, un secondo dopo l’omicida).
Con Suspiria, pochi anni dopo, le forme del giallo saranno già un ricordo.

Recensione di Emanuele Di Porto (https://www.sentieriselvaggi.it/profondo-rosso-di-dario-argento/)