Lista visioni cinematografiche di Luciano


 
 Animali selvatici (R.M.N.)

 
pic_movie_1685   NUM   1685  
  DATA E CINEMA   2023.07.31 FIUME  
  RASSEGNA   CINEMA D'ESSAI  
 
     
  REGISTA   Cristian Mungiu  
  ATTORI   Judith State, Marin Grigore, Orsolya Moldován, András Hatházi, Macrina Barladeanu, Zoltán Deák, Mark Blenyesi  
  PRODUTTORE   Filmgate Films, Les Films du Fleuve, Mobra Films, Why Not Productions  
  SCENEGGIATORE   Cristian Mungiu  
  COMPOSITORE    
  PAESE   Romania, Francia, Belgio  
  CATEGORIA   Drammatico  
  ANNO   2022  
  DURATA   125 minuti  
  LINGUA    
  SOTTOTITOLI    
  URL   https://www.comingsoon.it/film/animali-selvatici/61915/scheda/  
 
 
 

DESCRIZIONE   Animali selvatici, film diretto da Cristian Mungiu, si svolge in un piccolo villaggio della Transilvania, dove tutto sembra immutato da molto tempo. Gli abitanti conducono una vita tranquilla e apparentemente serena.
Matthias (Marin Grigore) lascia il suo lavoro in Germania e torna da suo figlio Rudi (Mark Blenyesi) che vive con la madre Ana (Macrina Barladeanu). L’uomo vuole recuperare il tempo perso e dedicarsi di più a suo figlio e a suo padre che è anziano e malato.
Si riavvicina anche alla sua ex, Csilla (Judith State), che gestisce una piccola fabbrica nel villaggio. Proprio in quei giorni vengono assunti dei nuovi operai cingalesi. La comunità non è pronta per questa novità che disturba il suo quieto vivere.
Un giorno, Rudi si trova nel bosco e viene turbato da qualcosa che lo getta in uno stato di shock, da quel giorno il bambino non parla più e i suoi genitori cercano di capirne la causa. Disorientati e combattuti interiormente, Matthias e Ana vengono assaliti da dubbi e sospetti, l’uomo cerca di insegnare al bambino ad usare le armi per difendersi nel bosco dagli animali selvatici.
Anche l’intera popolazione del luogo inizia a nutrire fobie che alimentano l’antico fantasma dell’intolleranza…
 

COMMENTO   Quello di Mungiu è un film difficile, o forse troppo facile, da mettere a fuoco.
È volutamente sfuggente nel modo in cui racconta la sua storia, spostando continuamente l’attenzione da un filo della trama a un’altro, fino a un finale che vuole essere evocativo e vagamente surreale, e forse enigmatico in maniera anche troppo insistita.
Non è una questione di lingua, di cinema, che è al contrario chiarissimo, diretto, nitido, un cinema che pur raccontando una storia fatta di piccoli eventi quotidiani ha la capacità di tenere lo spettatore dentro, a questa storia.
Il fatto è che Mungiu ha voluto mettere insieme talmente tante cose. (Federico Gironi - Comingsoon.it)
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Il protagonista di questo nuovo film di Christian Mungiu si chiama Matthias. Lo troviamo al lavoro in un mattatoio, in Germania, dal quale però fugge dopo avere steso con una violenta testata un uomo che gli aveva dato del “fottuto zingaro”, o qualcosa di molto simile.
Così Matthias torna nel villaggio rumeno da dove proviene, ritrovando un figlio preso da una inspiegabile paura che l’ha fatto smettere di parlare e una moglie che cerca di proteggere questo bambino, un padre anziano e malato, e un’amante dalla quale fa fatica a separarsi.
Poi, in quel villaggio che si vanta di aver espulso gli zingari, e di far convivere eticità diverse come quella rumena, quella ungherese e quella tedesca, nel grande panificio industriale diretto dall’amante di Matthias vengono assunti tre nuovi lavoratori provenienti dallo Sri Lanka, a fare il lavoro che i locali non vogliono più fare, perché pagati troppo poco.
E le tensioni esplodono, portando alla luce conflitti vecchi e nuovi.

Quello di Mungiu è un film difficile, o forse troppo facile, da mettere a fuoco.
È volutamente sfuggente nel modo in cui racconta la sua storia, spostando continuamente l’attenzione da un filo della trama a un’altro, fino a un finale che vuole essere evocativo e vagamente surreale, e forse enigmatico in maniera anche troppo insistita.
Non è una questione di lingua, di cinema, che è al contrario chiarissimo, diretto, nitido, un cinema che pur raccontando una storia fatta di piccoli eventi quotidiani ha la capacità di tenere lo spettatore dentro, a questa storia.
Il fatto è che Mungiu ha voluto mettere insieme talmente tante cose (il piano politico della storia, il razzismo e il capitalismo, e le tante vicende private che invece si focalizzano sul maschilismo patriarcale, i ragionamenti storici sul ruolo geopolitico del suo paese e altri che che riguardano i massimi sistemi sulle xenofobie contemporanee), e dare a tutte queste lo stesso peso, anche se non lo stesso tempo, che, alla fine, si fa fatica a trovare un punto focale netto.
O a spiegare esattamente certe ricorrenze, come quelle che legano le origini delle paure del figlio di Matthias, e la sorte di suo nonno.

È abbastanza chiaro che il titolo originale di Animali selvatici (R.N.M., che sta per risonanza magnetica nucleare, l’esame cui viene sottoposto il padre del protagonista a un certo punto, con Matthias che scorre ripetutamente sullo schermo del suo telefono le immagini di quella risonanza) è scelto in virtù delle intenzioni di Mungiu, più che per il peso di quell’esame nella trama del film.
Quello che Mungiu, con Animali selvatici, si propone di scansionare sono i mali “nascosti” della nostra società, solo che questi mali sono molto chiari, molto evidenti, niente affatto nascosti, e a rimanere sfuggente è l’immagine complessiva, quella che dovrebbe nascere dalla sovrapposizione di ciò che è evidente e ciò che è sottostante.
Ed è sfuggente, per paradosso, per eccesso di precisione analitica. Per calcolata programmaticità.

Strapieno di piani narrativi e di significato che si vanno a sovrapporre e alternare, Animali selvatici è così preciso - certo, anche nella sua messa in scena - e così oggettivante nella sua analisi (che pure, diciamolo apertamente, non è così originale o inedita) da non lasciar spazio a qualsiasi forma di emozione.
Quello di Mungiu è un film calcolatissimo, freddo e spoglio come certi suoi ambienti, nel quale, in finale, c’è quasi tutto tranne il calore umano, la passione per quel che si racconta, la capacità di ingaggiare emotivamente chi sta lì a guardare lo schermo. Un paradosso, pensando a quanto invece nel film si insiste nel parallelo tra la condizione umana e la ferinità animale che ancora ci si porta dentro.
Tutto è giusto, insomma, la grammatica e il "tema", non ci sono errori marchiani. Eppure non si sfugge alla sensazione che, da qualche parte, il regista abbia sbagliato qualcosa.

di Federico Gironi
Critico e giornalista cinematografico
Programmatore di festival