Lista visioni cinematografiche di Luciano


 
 Air - La storia del grande salto (Air)

 
pic_movie_1669   NUM   1669  
  DATA E CINEMA   2023.05.30 PINDEMONTE  
  RASSEGNA   S...VISTI STAGIONE  
 
     
  REGISTA   Ben Affleck  
  ATTORI   Matt Damon, Ben Affleck, Jason Bateman, Viola Davis, Chris Messina, Gustaf Skarsgård, Marlon Wayans, Chris Tucker, Jessica Green, Matthew Maher, Julius Tennon, Barbara Sukowa, Joel Gretsch, Dan Bucatinsky, Tom Papa, LeChristopher Williams, Haylee Baldwin, Gabrielle Bourne, Andy Hirsch, Tami Jordan  
  PRODUTTORE   Amazon Studios, Mandalay Pictures, Skydance Media  
  SCENEGGIATORE   Alex Convery  
  COMPOSITORE    
  PAESE   USA  
  CATEGORIA   Drammatico  
  ANNO   2023  
  DURATA   112 minuti  
  LINGUA    
  SOTTOTITOLI    
  URL   https://www.comingsoon.it/film/air-la-storia-del-grande-salto/62688/scheda/  
 
 
 

DESCRIZIONE   AIR - La Storia del Grande Salto, il film diretto da Ben Affleck, racconta l'incredibile e rivoluzionaria partnership tra un giovane Michael Jordan e la nascente divisione dedicata al basket della Nike, capace di rivoluzionare il mondo dello sport, quanto la cultura contemporanea, con il lancio del marchio "Air Jordan". L'emozionante storia racconta l'impresa di una squadra non convenzionale che, con in gioco il proprio futuro, compie una scommessa decisiva, la visione senza compromessi di una madre che conosce il valore dell'immenso talento di suo figlio e il "fenomeno" del basket, diventato poi il più grande di tutti i tempi.

PANORAMICA SU AIR - LA STORIA DEL GRANDE SALTO
Ben Affleck, alla sua quinta regia, porta al cinema la storia di Sonny Vaccaro, l’uomo che creò una linea di scarpe Nike per Michael Jordan, alla fine del 1984, quando la giovane stella della pallacanestro giocava con i Chicago Bulls. Il regista abbandona temporaneamente il thriller per dedicarsi a una pellicola intensa di genere drammatico. Per una scelta precisa di Affleck, il cestista non si vede mai sullo schermo, fatta eccezione per alcuni filmati d'archivio: “Ho pensato che nel momento in cui avessi puntato la telecamera su qualcuno chiedendo al pubblico di credere che quella persona fosse Michael Jordan, l’intero film sarebbe crollato” - ha spiegato, aggiungendo che prima di girare si è assicurato che l’atleta ritenesse la trama appropriata. L’obiettivo era realizzare qualcosa di realistico, che sembrasse autentico e sorprendesse il pubblico: “Non volevo che fosse noioso e ordinario” - ha detto.

Il cast del film è stellare: oltre ad Affleck, anche Viola Davis, voluta dallo stesso Jordan, Jason Bateman, che ha definito il film “fumante”, Chris Tucker (che non compariva al cinema dai tempi di Billy Lynn - Un giorno da eroe nel 2016) e, soprattutto, Matt Damon, qui in veste non solo di protagonista ma anche di produttore. “Matt e io siamo entusiasti che il pubblico veda 'Air' e siamo orgogliosi che sia la prima uscita di Artists Equity (la nuova società di produzione dei due, ndr). Questa è stata la migliore esperienza creativa e personale della nostra vita e non vediamo l'ora di vederne molte altre simili” - ha dichiarato il regista.

«Ho sentito Michael, senza di lui il progetto non era possibile. La vera pressione è quando mi ha detto: Voglio che Viola Davis interpreti mia madre». (Ben Affleck)
 

COMMENTO   Tornato dietro alla macchina da presa, Ben Affleck si conferma regista di valore. Raccontando dello storico accordo tra la Nike e il giovane Michael Jordan che ha portato alla nascita della sneaker per eccellenza, e che ha fatto la storia del marketing, dello sport e della cultura popolare, AIR - la storia del grande salto è un insolito sport movie che parla di tante cose di allora, ma anche di oggi. Con una messa in scena classica e pulita, Affleck abbraccia senza esitazioni la natura sorkiniana (nei dialoghi e nello spirito) del copione di Alex Convery, scegliendo gli attori giusti per i ruoli giusti e mettendo la macchina da presa al servizio di storia e dialoghi. In questo modo racconta la grande vittoria di Sonny Vaccaro, l'artefice di un accordo ritenuto impossibile, e riafferma la centralità imprescindibile di ciò che, in era di numeri o di algoritmi, viene troppo spesso dimenticato: il fattore umano. (Federico Gironi - Comingsoon.it)
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La storia che racconta AIR, lo saprete sicuramente tutti, è la storia di un accordo commerciale, quello tra Nike e Michael Jordan, che ha fatto la storia. La storia dello sport, del marketing e del commercio mondiale. La storia della Nike, che grazie a quell’accordo ha superato i brand concorrenti diventando leader mondiale nel settore delle calzature sportive, fatturando centinaia di milioni di dollari, anno dopo anno, fino a far diventare miliardi quei milioni. La storia dello stesso Jordan, non solo per i soldi che si è portato e che continua a portarsi a casa (ci sono stime che parlano di un miliardo e mezzo di dollari dal 1984 a oggi), ma per aver fatto di sé stesso un’icona anche fuori dal campo. La storia della cultura popolare contemporanea, considerato l’impatto che le Air Jordan e l’abbigliamento con quel marchio hanno avuto non solo sulla sneaker culture ma sullo stile e i modi e le inclinazioni culturali di varie generazioni.

Ovviamente tutto questo è dentro al film diretto da Ben Affleck, che è regista tutt’altro da sottovalutare, come già avevano dimostrato le sue regie precedenti. Ma, proprio perché Affleck è regista tutt’altro da sottovalutare, in AIR c’è anche molto altro. Il suo non è soltanto uno sport movie che non mostra praticamente mai momenti di sport giocato e che pure, allo stesso tempo, segue tutte le regole implicite di questo amato sottogenere del cinema americano in cui riscatto e riscossa sono parole chiave. Non è soltanto un film capace di ricostruire e fotografare gli anni Ottanta in una maniera quasi definitiva, per cultura e spirito, e non solo per iconografie o musica. AIR, ed è la cosa più importante, è il film in cui Affleck racconta sì la storia di un accordo, ma prima di tutto di come si sia giunti a quell’accordo. Che poi, oltre a essere la cosa più importante, è quella che rende questo film così attuale e contemporaneo.

La sceneggiatura di Alex Convery (inserita nella famosa Black List, la lista dei migliori copioni in circolo sulle scrivanie di Hollywood, nel 2021) è chiaramente sorkiniana, e non solo per il peso che viene dato ai dialoghi, che sono continui e costanti, ma anche per l’approccio alla storia, ai personaggi, ai legami con un quadro più grande di quello della specifica vicenda. Affleck - che, mi pare sia stato detto, è regista intelligente - utilizza una messa in scena classica, pulita, lineare. Da cinema pre-digitale, almeno. E abbraccia senza esitazioni questa matrice sorkiniana, andando a pescare, dall'amico fraterno Matt Damon fino all’ultimo dei comprimari, tutti perfetti, l’attore giusto per ogni personaggio, dove per giusto s’intende prima di tutto la capacità di reggere il dialogo e dargli peso e spessore, e lo stesso per i momenti di silenzio, seppur rari. In questo modo, anche cattura quel come di cui abbiamo parlato, e che possiamo sintetizzare in queste poche e chiare parole: il fattore umano.

Nessuno, nemmeno il suo amico Phil Knight (che Affleck sceglie di interpretare in prima persona, costruendo un ritratto affettuoso e ironico del celebre e idiosincratico fondatore della Nike), credeva nell’intuizione di Sonny Vaccaro. Nessuno credeva che la mossa che Vaccaro ha inseguito con tutte le sue forze, mettendo a rischio la sua vita professionale, fosse quella giusta, e nessuno credeva che, in ogni caso, quella mossa avrebbe dato il risultato sperato, ovvero la firma di Michael Jordan sul contratto. Non ci credeva nessuno perché, allora come oggi, si crede ai numeri, alle statistiche, al buon senso più pigro. Non ci credeva nessuno perché dare retta a Vaccaro significava deviare dai pattern più strutturati e abituali. Non ci credeva nessuno perché il consiglio di amministrazione non avrebbe mai approvato, perché nella logica del corporate business, e in quella della gestione di un’azienda quotata in borsa quella mossa era pura follia. Per dirla in termini contemporanei: l’algoritmo non approvava. E invece.

Invece sappiamo com'è andata.
E sappiamo, dopo aver visto AIR, che è andata come è andata perché a volte quello che gli anglosassoni chiamano il gut feeling, ovvero l’istinto, che per sua natura è inspiegabile, o difficilmente spiegabile, attraverso il ragionamento razionale, è l’unica cosa che permette di fare conquiste impossibili, e i grandi salti di qualità e livello. Perché i numeri, le logiche aziendali, e gli algoritmi l’istinto non ce l’hanno.

Ed è andata così perché Vaccaro, nel cercare di portare a casa il risultato che voleva, ha giocato la stessa carta, l’unica a sua disposizione, la stessa che riguardava il suo istinto: ovvero fare leva sul rapporto umano, uscendo dai confini freddi del business, infrangendo qualche regola, ma mettendo al centro del suo rapporto lavorativo con la famiglia Jordan il proprio essere, la propria sincerità, l’interesse nella parabola di un giocatore che non è mai solo sportiva, o economica, ma anche umana. Il monologo - sorkiniano pure lui - che tira fuori Vaccaro nel corso dell’incontro definitivo e fondamentale con i Jordan, un discorso figlio dell’istinto e non della logica, e che è trascinante e a suo modo quasi commovente, sta lì a dimostrarlo.

di Federico Gironi
Critico e giornalista cinematografico
Programmatore di festival