Lista visioni cinematografiche di Luciano


 
 Rapito (Rapito)

 
pic_movie_1667   NUM   1667  
  DATA E CINEMA   2023.05.28 KAPPADUE  
  RASSEGNA    
 
     
  REGISTA   Marco Bellocchio  
  ATTORI   Enea Sala, Leonardo Maltese, Paolo Pierobon, Fausto Russo Alesi, Barbara Ronchi, Samuele Teneggi, Filippo Timi, Fabrizio Gifuni, Aurora Camatti, Paolo Calabresi, Bruno Cariello, Andrea Gherpelli, Walter Lippa, Alessandro Bandini, Leonardo Bianconi, Daniele Aldovrandi, Corrado Invernizzi, Michele De Paola, Fabrizio Contri, Giustiniano Alpi, Orfeo Orlando, Federica Fracassi, Giulia Quadrelli, Flavia Baiku, Tonino Tosto, Renato Sarti, Christian Mudu, Riccardo Bandiera  
  PRODUTTORE   IBC Movie, Kavac Film, Rai Cinema  
  SCENEGGIATORE   Marco Bellocchio, Susanna Nicchiarelli  
  COMPOSITORE   Fabio Massimo Capogrosso  
  PAESE   Italia  
  CATEGORIA   Drammatico, Storico  
  ANNO   2023  
  DURATA   125 minuti  
  LINGUA    
  SOTTOTITOLI    
  URL   https://www.comingsoon.it/film/rapito/61996/scheda/  
 
 
 

DESCRIZIONE   Rapito, film diretto da Marco Bellocchio, racconta la storia di un bambino ebreo, Edgardo Mortara (Enea Sala), che nel 1858, all’età di sette anni, è stato prelevato dallo Stato Pontificio e tolto alla sua famiglia per essere cresciuto come cattolico. Il bambino era stato segretamente battezzato quando aveva solo sei mesi. Secondo le rigide regole della legge papale, il sacramento ricevuto dal neonato gli impone un’educazione cattolica. Trasferito da Bologna a Roma, il bambino sarà allevato secondo i precetti cristiani sotto la custodia di Papa Pio IX (Paolo Pierobon). Nonostante le disperate richieste della sua famiglia per riaverlo indietro, il pontefice si oppone e Edgardo cresce nella fede cattolica. La battaglia dei coniugi Mortara (Barbara Ronchi e Fausto Russo Alesi) riceve un riscontro importante nella comunità ebraica e assume ben presto una dimensione politica. Sullo sfondo di un’epoca in cui la Chiesa sta perdendo parte del suo potere e le truppe sabaude conquistano Roma, una famiglia sta lottando per ricongiungersi.

PANORAMICA SU RAPITO
Marco Bellocchio torna al cinema con un film intenso ispirato a un fatto realmente accaduto nell'Ottocento, conosciuto da tutti come il Caso Edgardo Mortara: il rapimento da parte dello Stato Pontificio di un bambino ebreo di sei anni, rieducato secondo i dettami della religione cattolica. Il regista sceglie di raccontare questa storia partendo dall'idea di voler denunciare quello che lui considera un delitto: "Io ti rapisco perché Dio lo vuole. E non posso restituirti alla tua famiglia. Sei battezzato e perciò cattolico in eterno. Un delitto contro una famiglia tranquilla, mediamente benestante, rispettosa dell'autorità, in anni in cui si respirava in Europa un'aria di libertà, dove si stavano affermando ovunque i principi liberali, tutto stava cambiando e proprio per questo il rapimento del piccolo rappresenta la volontà disperata, e perciò violentissima, di un'istituzione, ormai agonizzante, di resistere al suo crollo, anzi di contrattaccare" - ha spiegato. L'obiettivo di Bellocchio è trasmettere al pubblico non solo l'atto violento nel gesto della Chiesa, ma soprattutto lo smarrimento e la sofferenza del bambino: "il suo dolore, dopo l'abbandono forzato, ma anche il suo cercare sempre di conciliare la volontà del suo secondo padre, il Papa, con quella opposta dei suoi genitori di riportarlo a casa". Rapito, il film di Bellocchio, si sofferma anche su un altro punto caldo della vicenda, la conversione del protagonista: "Convertirsi per sopravvivere. Che in tempi moderni si chiamerebbe la sindrome di Stoccolma. Il bimbo si converte e per tutta la vita resta fedele a Pio IX. Ora, io non voglio cercare una posizione mediana, ma certamente la sua conversione così assoluta apparentemente senza aver mai un minimo dubbio rende il personaggio Edgardo ancor più interessante. E ci spinge verso mondi per noi inesistenti, ma che per tanti uomini esistono. Possiamo guardare da fuori il fenomeno o, con amore e partecipazione, tentare soltanto di rappresentare un bambino violentato nell’anima e poi un uomo che, fedele ai suoi violentatori che crede suoi salvatori, diventa alla fine un personaggio che ci esime da ogni spiegazione razionale" - ha aggiunto.

Nel ruolo dei coniugi Mortara gli attori Barbara Ronchi e Fausto Russo Alesi. Quest'ultimo ha dichiarato come il regista abbia acceso in lui la passione di "abitare la difficoltà di quel conflitto, toccando quella corda dell'essere umano che diventa universale". Paolo Pierobon, che interpreta il Pontefice, ha parlato di immaginazione oltre l'immedesimazione, facendo riferimento ai papi dipinti da Velázquez: "Ritratti con queste gabbie, queste urla soffocate. Ho voluto dare alla mia parte un'energia implosiva". Per il protagonista il regista sceglie Enea Sala, nella versione da piccolo, dichiarando di essere stato colpito dal suo sguardo, a tratti enigmatico e allo stesso tempo consapevole; per quella adulta, invece, c'è Leonardo Maltese, che ha raccontato di aver affrontato il provino con molta agitazione. Fabrizio Gifuni, che nel film è Padre Feletti, l'inquisitore, era entusiasta di aderire al progetto perché "il cinema di Bellocchio è libero e non suggerisce chiavi di lettura".

«È un film, non è né un libro di storia o di filosofia, né una tesi ideologica». (Marco Bellocchio)
«È un cinema totalmente libero, che sceglie di raccontare la complessità dell'animo umano e dei personaggi. Una volta individuata la storia, Marco si concentra sui personaggi senza suggerire allo spettatore una lettura. Quindi la sensazione di spaesamento e di slittamento continuo dal punto di vista emotivo fa parte proprio di questa esperienza». (Fabrizio Gifuni)
 

COMMENTO   Un altro grande film firmato da un Marco Bellocchio in stato di grazia, nel quale le ossessioni del regista si sposano perfettamente con la storia che racconta. Già dal titolo, Rapito, si stabilisce una connessione esplicita con i film del regista sul rapimento di Aldo Moro: ancora una volta Bellocchio si scaglia, forse non più con rabbia, ma di certo con grande potenza iconoclasta, contro le convenzioni e le ipocrisie del nostro paese e della nostra storia, e contro ogni forma di chiesa e di dogmatismo. Girato con uno stile che lo rende simile a un horror gotico, Rapito è una pagina di cinema, di storia, e di disamina delle dinamiche e delle perversioni del potere e dell'idologia che lascia in chi guarda un segno chiaro, profondo, durevole. (Federico Gironi - Comingsoon.it)
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All’inizio, questo nuovo film di Marco Bellocchio aveva un altro titolo. Si chiamava La conversione. Solo successivamente, a film praticamente già ultimato, il titolo è diventato l’attuale Rapito. Quali siano stati i motivi di questo cambiamento non posso saperlo, ma quello che posso fare è dire che, con certezza, dal mio punto di vista, questo titolo meno bello sulla carta è però assai più efficace dell’altro. Questo non solo perché nel passaggio da La conversione a Rapito c’è già tutta la brutalità della storia - vera - che Bellocchio ha scelto di raccontare, e il tono che ha di conseguenza voluto imporre al film, ma anche perché, in maniera chissà quando consapevole, con questo titolo si crea un legame evidente con quella parte dell’opera bellocchiana che ha trattato, in Buongiorno notte prima, e in Esterno notte poi, del rapimento di Aldo Moro. Ecco allora che Rapito è l’ennesimo film in cui Bellocchio - ancora in quell’evidente stato di grazia in cui si trova da qualche anno a questa parte - si scaglia, forse non più con rabbia, ma di certo con grande potenza iconoclasta, contro le convenzioni e le ipocrisie del nostro paese e della nostra storia, e contro ogni forma di chiesa e di dogmatismo: qui non più l’aberrazione del terrorismo, mutazione perversa dell’ideologia comunista, ma la Chiesa con la “c” maiuscola, quella cattolica. Ma più in generale contro ogni integralismo religioso.E soprattutto contro ogni forma abusiva e coercitiva che il potere, qualsiasi esso sia, mette in pratica.

La vicenda è oramai nota. Edgardo Mortara, bambino bolognese di famiglia ebrea, viene sottratto ai suoi genitori e ai suoi fratelli dal tribunale eccelesiastico, quando si scopre che una cameriera lo aveva battezzato di nascosto, nel timore morisse e finisse nel limbo.Un vero e proprio rapimento, avvenuto nel 1858, immediatamente prima quindi delle guerre di indipendenza che segnarono la nascita della nazione italiana e di quella breccia di Porta Pia che mise fine al potere temporale della chiesa. Una congiuntura storica che Bellocchio non manca ovviamente di cogliere, sintetizzando anche in (e attraverso) queste vicende, la complessità del ragionamento sull'Italia e la sua storia che porta avanti in questo film.
Fotografato con luci gravi e quasi plumbee da Francesco Di Giacomo (che con Bellocchio aveva già lavorato proprio in Esterno notte), Rapito inizia, e per molti versi procede, quasi come un film horror, un horror psicologico, gotico, padano-romano. La scena in cui il piccolo Edgardo viene condotto lontano da Bologna, su una barca che discende il Reno, accompagnato da due donne che sembrano, per abiti e atteggiamento, due streghe uscite da una favola dei Grimm, ne uno dei primi e più evidenti segnale.

L’orrore di Rapito sta certamente nella spietata determinazione della Chiesa (di Papa Pio IX in particolare, interpretato da uno straordinario Paolo Pierobon, quasi un Imperatore Palpatine, se mi si passa il paragone spericolato, con il padre Pier Feletti di Gifuni a fargli da Darth Vader) nel fare del caso Mortara un caso esemplare, di non cedere di fronte a nessuna pressione, nella consapevolezza, anche magari solo inconscia, ma fortissima, dell’imminenza della fine di un’era e di un potere, e nell’attuare un vero e proprio lavaggio del cervello nel piccolo Edgardo e di tanti altri bambini.
L’orrore di Rapito sta nello strazio indicibile di due genitori (Fausto Russo Alesi e Barbara Ronchi) che vedono un figlio strappato via, condotto lontano e forzato ad abbracciare una fede che non è la loro. E qui Bellocchio, che pure racconta in tutta la sua lacerante forza il dolore di questi genitori, sembra suggerire che anche l’ossessione del personaggio di Ronchi per la preservazione della propria fede, oltre per quella del figlio, una preservazione diventa ostacolo alla possibilità di riabbracciare Edgardo prima e di ritrovarlo poi, sia un dogmatismo assurdo e, in qualche modo, disumano, ma al tempo stesso anche una questione identitaria, e non religiosa, che è da rispettare. Nello stesso Edgardo, nelle sue rare ma sintomatiche espressioni schizofreniche, è contenuto un orrore cui Bellocchio non è affatto indifferente, anche se la sua posizione è forse incarnata dallo sconcerto del fratello di Edgardo che ha abbandonato ogni fede e ogni credo, se non quello rivoluzionario e unitario, laico e funzionale al ritrovamento del fratello.

Politica e religione, che da sempre sono state le ossessioni tematiche di Marco Bellocchio, in Rapito trovano una nuova sintesi, sottoposte a una nuova e spietata analisi, portata avanti con una lingua cinematografica in stato di grazia: dal copione (scritto con Susanna Nicchiarelli, e la collaborazione di Edoardo Albinati e Daniela Ceselli) che è in grado di alternare uno sguardo affilato e consapevole sulle grandi questioni e un’attenzione commovente ai dettagli della vita quotidiana dei personaggi, a una forma potente e trascinante, passando per una capacità di gestire gli attori e far dare a ognuno il meglio che ha dell’incredibile. Il risultato è una pagina di cinema, di storia, e di disamina delle dinamiche e delle perversioni del potere e dell'idologia che lascia un segno chiaro, profondo, durevole.

di Federico Gironi
Critico e giornalista cinematografico
Programmatore di festival