Lista visioni cinematografiche di Luciano


 
 Ritorno a Seoul (Retour à Séoul)

 
pic_movie_1662   NUM   1662  
  DATA E CINEMA   2023.05.19 DIAMANTE  
  RASSEGNA    
 
     
  REGISTA   Davy Chou  
  ATTORI   Ji-Min Park, Oh Kwang-Rok, Guka Han, Sun-young Kim, Yoann Zimmer, Louis-Do de Lencquesaing, Ouk-Sook Hur, Seung-Beom Son, Dong Seok Kim, Emeline Briffaud, Cheol-Hyun Lim, Régine Vial, Cho-woo Choi  
  PRODUTTORE   Aurora Films e co-prodotto da Vandertastic e Frakas Productions  
  SCENEGGIATORE   Davy Chou  
  COMPOSITORE   Jérémie Arcache, Christophe Musset  
  PAESE   Francia, Germania  
  CATEGORIA   Drammatico  
  ANNO   2022  
  DURATA   113 minuti  
  LINGUA    
  SOTTOTITOLI    
  URL   https://www.comingsoon.it/film/ritorno-a-seoul/62403/scheda/  
 
 
 

DESCRIZIONE   Ritorno a Seoul, film diretto da Davy Chou, racconta la storia di Freddie (Park Ji-Min), una ragazza francese di 25 anni, che torna in Corea del Sud per riconnettersi con le sue origini. La ragazza, infatti, è nata in Corea, ma è stata adottata in seguito da una coppia francese e da quel momento non è più tornata nella sua terra natia. Freddie è decisa a rintracciare i suoi genitori biologici in un paese che non conosce quasi per nulla, ma il suo viaggio la porterà a prendere direzioni del tutto nuove e soprattutto inaspettate.
 

COMMENTO   Diretto da Davy Chou e interpretato da Ji-Min Park, Ritorno a Seoul non parla solo di una ragazza che cerca i suoi genitori biologici, ma della ricerca - comune a lei e a noi - di un'identità e di un posto nel mondo. La protagonista è una giovane ragazza dall'identità scissa, fratturata (come la clavicola che si romperà tempo dopo, rimessa insieme da due viti), divisa come sono divise le due Coree. Dura, respingente e spigolosa, non rende facile empatizzare con lei, ma la forza del film è proprio in questo, e nel il coraggio di raccontare che la ricerca della sua protagonista di un posto, di un ruolo, di un contesto, e di un'appartenenza, se condotta solo estenamente potrà arrivare solo fino a un certo punto, e non essere mai del tutto completa. (Federico Gironi - Comingsoon.it)
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Certo, quella che racconta Ritorno a Seoul è la storia di una ragazza che, dalla Francia, arriva in Corea alla ricerca dei suoi genitori biologici. Questa è la superficie, che è perfino una superficie spessa, densa, interessante. Ma, ovviamente - conseguentemente, verrebbe da dire - la storia del film di Davy Chou, una storia dichiaratamente autobiografica, almeno in parte, è la storia di qualcuno alla ricerca della sua identità e del suo posto nel mondo.

Freddie, diminutivo di Frédérique, ha 25 anni quando arriva nel paese dove è nata, ma che non ha mai conosciuto, senza sapere una parola della lingua. Senza conoscere, lei che ama la musica, la musica coreana. Senza, in breve, sapere nulla di quel posto, della sua cultura, delle prassi sociali, delle abitudini. Tanto da rimanerne scottata, in alcuni casi. E però, allo stesso tempo, il suo volto, come gli spiegano i giovani che conosce e che diverranno in qualche modo suoi amici, il suo non è solo un volto coreano, ma corano antico, ancestrale. Profondo. Freddie è una giovane ragazza dall’identità scissa, fratturata (come la clavicola che si romperà tempo dopo, rimessa insieme da due viti), divisa come sono divise le due Coree.

Il suo primo soggiorno a Seoul, nel corso del quale rintraccia il padre biologico, dal quale però si sentirà distante, delusa, spaventata, non farà altro che mostrarle, e mostrare a noi, il dolore che questa frattura causa a lei, e di riflesso a coloro i quali (il padre, un’amica, un aspirante fidanzato) cercano di avvicinarla.
Due anni dopo Freddie è ancora in Corea, cambiata, cresciuta, indurita, ma ancora piena di confusione. Ha nuovi amici, nuove relazioni, ma ancora in cerca di qualcosa. Di una parte che manca. Di un dialogo con una madre. Eppure. Eppure qualcosa, di quel mondo, di quella parte di sé, le sta entrando dentro e al sta cambiando. Quanto dopo altri cinque anni Freddie tornerà di nuovo in Corea, le sue questioni sembrano risolte. Quasi. La sua frattura, seppur con le viti, sanata. Ma manca ancora un pezzo, manca una madre, e anche quando questa madre si paleserà, le cose poi non saranno così semplici.

Non è facilissimo empatizzare con una protagonista che è dura, respingente, spigolosa, sospesa istericamente tra smanie di vita da prendere a morsi e una tristezza profonda che nasce da una mancanza, magari infinitesimale, ma sempre presente. Eppure, è questa la forza del film di Chou, prima ancora della capacità di gestire il copione, e di utilizzare la forma del cinema in maniera pulita e elegante, mai troppo austera e autoriale e mai troppo carica dei neon del pop. La forza di un film che ha il coraggio di raccontare che la ricerca della sua protagonista di un posto, di un ruolo, di un contesto, e di un’appartenenza, che poi è la ricerca di tutti noi nel corso di tutta la nostra vita, potrà arrivare solo fino a un certo punto, e non essere mai del tutto completa. Perché per completare noi stessi - momentaneamente, parzialmente - non dobbiamo guardare fuori di noi, ma dentro, a quello che siamo e desideriamo indipendentemente da dove veniamo, o da chi frequentiamo. E per questo, nel momento di massima solitudine, e di massimo sconforto, Freddie consola sé stessa, e forse si trova, di fronte ai tasti di un pianoforte solitario.

di Federico Gironi
Critico e giornalista cinematografico
Programmatore di festival