Lista visioni cinematografiche di Luciano


 
 Empire of Light (Empire of Light)

 
pic_movie_1636   NUM   1636  
  DATA E CINEMA   2023.03.02 FIUME  
  RASSEGNA    
 
     
  REGISTA   Sam Mendes  
  ATTORI   Olivia Colman, Michael Ward, Toby Jones, Colin Firth, Monica Dolan, Ron Cook, Sara Stewart, Tom Brooke, Justin Edwards, Tanya Moodie, Crystal Clarke, Hannah Onslow  
  PRODUTTORE   Neal Street Productions, Searchlight Picture  
  SCENEGGIATORE   Sam Mendes  
  COMPOSITORE   Thomas Newman  
  PAESE   Gran Bretagna, USA  
  CATEGORIA   Drammatico, Sentimentale  
  ANNO   2022  
  DURATA   115 minuti  
  LINGUA    
  SOTTOTITOLI    
  URL   https://www.comingsoon.it/film/empire-of-light/61684/scheda/  
 
 
 

DESCRIZIONE   Empire of Light, film diretto da Sam Mendes, è una storia d'amore ambientata nell'Inghilterra degli anni Ottanta e che ruota attorno a un vecchio e meraviglioso cinema, sito sulla costa meridionale inglese. Racconta la storia di due persone: la prima è Hilary (Olivia Colman), una donna che gestisce il cinema, che vive da sola e deve fare i conti con la sua salute mentale e la depressione. Il secondo è Stephen (Michael Ward), un nuovo e giovane dipendente, che sogna di fuggire da questa cittadina provinciale in cui deve affrontare avversità quotidiane. Hilary cerca di combattere i suoi disturbi con il litio prescritto dal suo medico e intrattenendo una relazione con il suo capo sposato, Donald (Colin Firth). Stephen, invece, si ritrova a essere vittima di pregiudizi da parte dei suoi concittadini a causa del colore della sua pelle.

Sin da subito l'attrazione tra i due è molto forte e in breve tempo Hilary e Stephen trovano un senso di appartenenza attraverso la loro dolce e improbabile relazione, sperimentando il potere curativo della musica, del cinema e della comunità.

Nel cast del film troviamo Toby Jones nel ruolo del proiezionista Norman.

PANORAMICA SU EMPIRE OF LIGHT
Il Premio Oscar Sam Mendes decide di realizzare Empire of Light durante la pandemia, mosso da due riflessioni. La prima è quella sulla malattia mentale: il regista ha confessato che sua madre lo ha cresciuto da sola lottando contro la depressione; durante il covid, poi, si è reso conto che questo malessere esistenziale era molto più diffuso nel mondo di quanto si pensasse. La seconda riflessione riguarda se stesso: la storia è ambientata nell’Inghilterra degli anni ’80, in un momento storico e politico di grandi cambiamenti, tra disoccupazione, rivolte ed episodi di razzismo. Mendes torna così agli anni in cui si è innamorato del cinema e della musica, con un pizzico di malinconia.

La pluripremiata Olivia Colman, nel ruolo della protagonista Hilary, ha spiegato che, sebbene il suo personaggio fosse molto intenso e sofferente, il regista le è stato accanto tutto il tempo creando intorno a lei un ambiente sicuro. Questo le ha permesso di entrare appieno nella parte ma anche di uscirne velocemente una volta terminate le riprese, senza ripercussioni psicologiche. Al suo fianco nel cast del film c’è Michael Ward (Stephen), che ha incontrato l’attrice per la prima volta solo una settimana prima dell'inizio della produzione. I due si sono trovati bene sin da subito: per lei il giovane attore era “energico e ansioso di imparare”; lui l’ha definita adorabile.

«Volevo raccontare in parallelo la storia di Hilary e della sua malattia mentale, che è una crisi interiore, in cui ne irrompe una esterna, quella del problema razziale. Credo che il cinema sia il posto giusto per unire le due cose» (Sam Mendes).
 

COMMENTO   Un cinema imponente e fuori scala, per una cittadina della costiera meridionale dell'Inghilterra. Nei primi anni Ottanta al governo si consolidava il conservatorismo della Thatcher e i movimenti skinhead se la prendevano con chiunque sembrasse "diverso". Il film nostalgico di Sam Mendes racconta proprio due solitudini che si incontrano, quella di una depressa donna di mezza età, una straordinaria Olivia Colman, e di un ventenne di colore in cerca di un futuro. Colleghi all'Empire e amanti. L'amore per il cinema, per la pellicola e per un passato glorioso, il tempo che passa implacabile nel rendere il nuovo presente un tradimento dei sogni passati. Mancano però energia, sprint e vitalità. Ma c'è Olivia Colman, e non è poco. (Mauro Donzelli - Comingsoon.it)
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In pausa da molti anni (troppi?) dedicati al gigantismo bondiano, Sam Mendes realizza un piccolo film sul tempo che passa, su chi si sente sempre fuori stagione, in linea con la tendenza del cinema degli ultimi anni, pandemia o meno, di ritornare indietro negli anni, omaggiando i propri anni giovanili e allo stesso tempo il cinema con il suo potere energetico e curativo.

La costiera del sud degli’Inghilterra, in fondo, è sempre fuori stagione. Abbastanza vicina a Londra, ma non troppo da subirne la sua orbita quotidianamente, vacanziera per la natura salina delle sue spiagge, ma ventosa e freddina per rappresentare una soluzione idilliaca per i mesi estivi. Per cui, anche se Empire of Light è ambientato per la maggior parte durante l’inverno, da quelle parti si è sempre un pizzico fuori fuoco rispetto alle aspettative. Prendete l’Empire, nome che se la gioca con Eden o Odeon come più frequente per una sala cinematografica. È una struttura che richiama i ruggenti anni ’20, vagamente liberty e sicuramente impolverato dagli anni, con un paio di sale residue e un piano chiuso e invaso dai piccioni.

Siamo nei primi anni ’80 e Hilary Small - come dire, un cognome ridondante - è una malinconica e solitaria responsabile della struttura. È depressa, sembra non avere famiglia e il lavoro è la sua unica dedizione. Non si prende neanche la licenza di entrare ogni tanto a vedere qualche scena dei film che proiettano, perché “sono riservati ai clienti”. Un rigore impiegatizio che nasconde però, almeno immaginiamo, un animale ferito dagli eventi e dagli anni che passano tutti uguali. Il medico gli ha prescritto del litio e spesso viene chiamata dal direttore, interpretato da un insolitamente meschino Colin Firth, per qualche servizietto sessuale sbrigativo in ufficio, lontano dalla moglie. Hilary è invece Olivia Colman, di gran lunga la cosa migliore del film.

L’arrivo fra i dipendenti di Stephen (Michael Ward), inglese black di origine caraibica, smuove le dinamiche interne ai dipendenti in divisa. In particolare, la scintilla sembra rianimare proprio Hilary, inizialmente attratta dalla sua bellezza, poi sempre più i due - con una cospicua differenza di età - imparano a conoscersi e a confidarsi, sovrapponendo le rispettive solitudini e marginalità. Stephen si trova a subire il razzismo strisciante o palese, mentre il Paese si scopre sempre più conservatore con il consolidamento del governo Thatcher e la crescita dei movimenti skinhead. I due si piacciono, anche se sembra socialmente “inappropriato”, e iniziano una relazione segreta. Ma Hilary è fragile, esposta ad alti e bassi emotivi continui, e aprirsi così tanto, improvvisamente, potrebbe anche provocarle una ricaduta devastante alla prima difficoltà.

L’Empire sembra un edificio stregato, fra i fantasmi delle tante storie di chi ci ha lavorato - all’esterno delle sale vere e proprie - e quelle raccontate sul grande schermo, custodite dal proiezionista (e perfezionista) Toby Jones, virtuoso della luce e dei fotogrammi. In poche parole, della magia del cinema. La carne al fuoco è molta, quindi, da quella sociale e razziale al cinema come prodigio salvifico. Arriva fuori tempo massimo a cantare le lodi della chimica della settima arte e della pellicola, dopo molti anni di smaterilizzazione dei supporti, e rimane in una sorta di stordimento malinconico, narrativamente, sorprendentemente in superficie. Si intuisce l’importanza formativa per Sam Mendes di quegli anni e di quel clima musicale, ma non ne traspaiono l’energia e la vitalità.

Alla fine, quella che rimane è la malinconia del tempo che passa, la consapevolezza di un amore troppo diseguale per ridare stabilmente vitalità al cuore ferito di una donna. Soprattutto grazie a Olivia Colman, un’attrice straordinaria dei nostri anni.

di Mauro Donzelli
critico e giornalista cinematografico
intervistatore seriale non pentito