Lista visioni cinematografiche di Luciano


 
 Sciuscià (Sciuscià)

 
pic_movie_1631   NUM   1631  
  DATA E CINEMA   2023.02.21 PINDEMONTE  
  RASSEGNA   CINEMA RITROVATO  
 
     
  REGISTA   Vittorio De Sica  
  ATTORI   Franco Interlenghi, Rinaldo Smordoni, Maria Campi, Aniello Mele, Enrico Cigoli Bruno Ortensi, Emilio Cigoli, Gino Saltamerenda, Anna Pedoni, Leo Garavaglia, Enrico De Silva, Antonio Lo Nigro, Angelo D'Amico, Antonio Carlino, Francesco De Nicola, Pacifico Astrologo, Peppino Spadaro, Irene Smordoni, Antonio Nicotra, Claudio Ermelli, Guido Gentili, Mario Volpicelli, Edmondo Costa, Mario Del Monte Jr., Achille Ponzi, Antonio Amendola, Armando Furlai, Edmondo Zappacarta, Leonardo Bragaglia, Gino Marturano, Piero Carini, Mario Jafrati.  
  PRODUTTORE   Paolo William Tamburella per Società Cooperativa Alfa Cinematografica (riedizione in 4K by Cineteca di Bologna)  
  SCENEGGIATORE   Adolfo Franci, Sergio Amidei, Cesare Giulio Viola, Cesare Zavattini  
  COMPOSITORE   Alessandro Cicognini  
  PAESE   Italia  
  CATEGORIA   Drammatico  
  ANNO   1946  
  DURATA   90 minuti  
  LINGUA    
  SOTTOTITOLI    
  URL   http://www.mymovies.it/dizionario/recensione.asp?id=21828  
 
 
 

DESCRIZIONE   Pasquale e Giuseppe sono due ragazzini che nella Roma liberata dagli americani vivono lucidando le scarpe in strada al grido di 'sciuscià', neologismo sintesi dell'inglese 'shoe shine'. Pasquale è orfano di entrambi i genitori mentre Giuseppe mantiene i suoi insieme al fratello maggiore che è in un giro di riciclaggio di oggetti rubati. Un giorno i due vengono coinvolti in uno dei traffici illegali e finiscono al carcere minorile. Lì le loro personalità fondamentalmente innocenti subiscono il peso di un ambiente negativo.
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Sciuscià è un film drammatico del 1946 diretto da Vittorio De Sica.
Siamo alla fine della Seconda Guerra Mondiale, in una Roma devastata dal disagio sociale. Protagonisti della storia sono due ragazzini, Giuseppe (Rinaldo Smordoni) e Pasquale (Franco Interlenghi), legati da una profonda e sincera amicizia. Si guadagnano da vivere facendo gli sciuscià, lustrando le scarpe ai soldati americani sui marciapiedi di via Veneto. La strada è la loro casa, il palcoscenico della loro vita: è qui che fanno affari, contano soldi e come piccoli uomini sono attenti a tutte le opportunità, anche illegali, pur di far qualche spicciolo in più. Un'infanzia rubata in un mondo di adulti che cercano di stare a galla come possono, ma c'è un oggetto del desiderio per i due ragazzi che richiama la loro spensieratezza: un cavallo bianco, Bersagliere. Appena possono, corrono a Villa Borghese e con 300 lire lo affittano per cavalcarlo in due. Il loro sogno è quello di possedere il puledro e sono disposti anche a lavori sporchi pur di comprarlo. L'occasione arriva quando il fratello di Giuseppe e un suo compare li coinvolgono in un furto a casa di una chiromante. È una trappola e ne pagheranno le conseguenze disastrose, ma prima di essere arrestati e portati al riformatorio riescono, con i proventi del lavoretto, a comprare Bersagliere. Il cavallo viene affidato alle cure di uno stalliere e Pasquale e Giuseppe condannati, vengono rinchiusi in celle diverse. Qui sperimentano una vita disciplinata da disumane e brutali regole, inganni e tradimenti. Durante l'interrogatorio, infatti, Pasquale è ricattato: se non confessa il suo amico sarà picchiato duramente. L'amicizia tra i due è incrinata, l'affetto e la fedeltà che li univa sono svaniti, ormai sono nemici...

(da https://www.comingsoon.it/film/sciuscia/23753/scheda/)
 

COMMENTO   Primo film italiano a vincere l’Oscar per il miglior film straniero nel 1948, è una pietra miliare del Neorealismo che riproduce amaramente l’Italia alla fine della Seconda guerra mondiale.

6 Febbraio 2023 di Fabio Fulfaro
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Italia anno zero. Alla fine del secondo conflitto mondiale il nostro paese è letteralmente devastato socialmente e moralmente. Per le strade di Roma, a via Veneto, tanti piccoli lustrascarpe (shoe-shine napoletanizzato in sciuscià) mettono da parte qualche lira per campare se stessi e le loro famiglie. Qualcun altro come Giuseppe (Rinaldo Smordoni) e Pasquale (Franco Interlenghi) cerca di trasformare la propria miseria nel sogno di comprare un cavallo bianco chiamato “Bersagliere”.

Il Neorealismo di De Sica si concentra su due aspetti peculiari: l’identificazione della situazione individuale infantile con quella collettiva di un popolo costretto a scendere a compromessi per la propria sopravvivenza e l’effetto opprimente di un sistema (Famiglia-Stato-Chiesa) che ha un effetto castrante su ogni buona intenzione. In Sciuscià i due piccoli protagonisti, osservando il mondo degli adulti, ne ricavano solo cattivi esempi: insensibilità, pigrizia, menzogna, avidità, cattiveria, egoismo, tradimento. Anche il linguaggio in stretto romanesco ripropone gli stereotipi e le asprezze di quello degli adulti. Se da un lato i ragazzi sono ancora spinti da sentimenti di solidarietà e amicizia, dall’altro padri, madri, fratelli, dottori, avvocati, cartomanti, commissari di polizia, ricettatori, sacerdoti e tutto il personale del carcere minorile (tranne un maestro) trasmettono loro cinismo e disillusione: non è solo un parlare male, è soprattutto un pensare male. Devono crescere in fretta, non ammalarsi, non mostrare debolezze per non essere calpestati da tutti gli altri concorrenti alla sopravvivenza. Una delle scene più forti e simboliche è quella della proiezione del film all’interno del riformatorio: i ragazzi vedono prima un documentario sulla guerra nel Pacifico e poi delle comiche. Le reazioni sono tutte improntate alla consapevolezza di essere privati della libertà e nessuno di loro gode veramente dello spettacolo (solo il ragazzo tisico esclama “il mare!”). Battute dissacranti, sguardi segnati dalla malinconia, finché la pellicola prende fuoco e si scatena il putiferio che porta alla tragedia. Nemmeno il Cinema offre consolazione perché la realtà irrompe violentando la proiezione. I luoghi di Roma vengono trasfigurati: la zona del carcere di San Michele, via Veneto, via del Babuino, il Palazzaccio, il commissariato di Piazza di Campitelli diventano parte di un meccanismo di oppressione che porta i ragazzi a volere rompere le sbarre della prigione. L’immagine iniziale del riformatorio attraversato dalle luci e dalle ombre sembra un quadro di De Chirico: una rappresentazione cupa e malinconica, finisce davvero qui la speranza? Il cavallo “Bersagliere” rappresenta questo alzarsi da terra e guardare le altre persone da una posizione privilegiata, un misto di velocità e potenza, di eleganza e bellezza, fuori da regole e imposizioni. Non è un caso che l’unico momento di felicità pura è proprio quello dei due ragazzi a cavallo per le strade di Roma.

Se è vero che De Sica ha visto e assimilato la lezione di film come The Crowd di King Vidor, Zero in condotta di Jean Vigo e Il monello di Charlie Chaplin, è altrettanto indubitabile l’apporto in sceneggiatura di Cesare Zavattini che si concentra sul periferico, sul dato marginale come momento di “rifunzionalizzazione narrativa” (Casetti e Malavasi) rendendo l’opera sospesa tra il naturalismo degli spazi aperti e l’astrazione dell’ambiente del riformatorio. Pensate alle figure del commissario di polizia, della cartomante, del direttore del carcere (che risponde al saluto fascista!), del medico, dei sacerdoti: sono tutte colte in piccoli dettagli che ne rivelano le debolezze, i rigidi formalismi, la stolta intransigenza. Questo macrocosmo immaturo e immorale trova un corrispettivo perfetto nel microcosmo carcerario dove i piccoli detenuti ripropongono vessazioni e abusi di potere, bugie e opportunismi, bullismi e tradimenti. Il lungo segmento nel riformatorio serve a De Sica a costruire il dramma di una coppia di ragazzi che prima viene separata brutalmente in celle diverse (il momento della separazione è straziante) e poi, attraverso le meschinità dei secondini e dei compagni di cella, viene minata nel sentimento di fiducia reciproca. I due finiranno uno contro l’altro raggirati e manipolati da cattivi maestri. De Sica ritrae i ragazzi nudi sotto la doccia, ne registra le lacrime e i moti di rabbia, frustrazioni e disperazioni, e li guida verso una recitazione spontanea e mai artificiosa. È anche magistrale la scena del processo dove viene messa alla berlina la vuota eloquenza e la falsa retorica di avvocati e giudici che sembrano così lontani dai problemi della vita reale. L’unico momento in cui Sciuscià sembra perdere un po’ di questa magia narrativa è quando il piccolo Giuseppe incontra la madre: sarà per la scelta del primo piano, sarà per la scarsa alchimia tra i due personaggi, ma questa scena perde molta potenza diventando quasi una appendice inutile.

Primo film italiano a vincere l’Oscar per il miglior film straniero nel 1948, commentato dalle musiche enfatiche di Alessandro Cicognini, Sciuscià è una pietra miliare del Neorealismo che riproduce amaramente la situazione italiana alla fine della Seconda Guerra Mondiale. I bambini sono le prime vittime di questi tempi sbandati e, a differenza di Ladri di biciclette dove riusciranno a dare una lezione morale al mondo traviato degli adulti, qui ancora subiscono il peso di un futuro in cui la speranza scappa via come un cavallo bianco di fronte all’orrore di una morte annunciata.

(da https://www.sentieriselvaggi.it/sciuscia-di-vittorio-de-sica/)