Lista visioni cinematografiche di Luciano


 
 Strade perdute - Lost highways (Lost highways)

 
pic_movie_1611   NUM   1611  
  DATA E CINEMA   2023.01.17 KAPPADUE  
  RASSEGNA   CINEMA RITROVATO  
 
     
  REGISTA   David Lynch  
  ATTORI   Bill Pullman, Patricia Arquette, John Roselius, Louis Eppolito, Jenna Maetlind, Michael Massee, Robert Blake, Henry Rollins, Michael Shamus Wiles, Mink Stole, Leonard Termo, Ivory Ocean, Jack Kehler, David Byrd, Gene Ross, Balthazar Getty, F. William Parker, Guy Siner, Alexander Folk, Gary Busey, Lucy Butler, Carl Sundstrom, John Solari, Al G. Garrett, Heather Stephens, Giovanni Ribisi, Scott Coffey, Natasha Gregson Wagner, Amanda Anka, Jennifer Syme, Richard Pryor, Robert Loggia, Matt Sigloch, Gilbert B. Combs, Greg Travis, Jack Nance, Lisa Boyle, Leslie Bega, Marilyn Manson, Jeordie White  
  PRODUTTORE   Deepak Nayar, Tom Sternberg, Mary Sweeney  
  SCENEGGIATORE   David Lynch, Barry Gifford  
  COMPOSITORE   Angelo Badalamenti  
  PAESE   USA, Francia  
  CATEGORIA   Noir, Thriller  
  ANNO   1997  
  DURATA   135 minuti  
  LINGUA    
  SOTTOTITOLI    
  URL   https://www.imdb.com/title/tt0116922/  
 
 
 

DESCRIZIONE   Un film noir del XXI secolo. Una vivida descrizione di crisi d’identità parallele. Un mondo dove il tempo è pericolosamente fuori controllo. (David Lynch)

Telefonare a casa propria e scoprire che a rispondere è l’uomo che vi sta davanti in quel momento. Ascoltare il citofono di casa e sentire la propria voce affermare che un tizio è morto. Cambiare personalità a metà film e vedere un mondo che possiede lo stesso lessico ma un’altra sintassi. Lost Highway è tutto questo: una fuga psicogena, un viaggio scintillante e dark lungo le strade perdute di una dimensione surreale e inquietante, in un mondo governato dal mistero e dell’allucinazione, attraversato da ogni tipo di paradosso logico, da narrazioni che si avvitano dentro una spirale inspiegabile, perché “qualsiasi tipo di spiegazione si dimostrerebbe inadeguata, poiché un film è fatto per essere visto” (David Lynch)
 

COMMENTO   Chissà cosa avrebbe pensato Orson Welles guardando Strade perdute. Forse a una serie di immagini ispirate a un cinema giunto da tempo alle derive di forme apparentemente riconoscibili; che si abbandona alla potenza dell’amore tra una coppia di giovani nel deserto, moltiplicandone i corpi, così come ai molteplici amplessi tra Alice (Patricia Arquette) e Peter (Balthazar Getty) – l’ultimo, tra l’altro, nel buio del deserto con i fari dell’automobile puntati sui loro corpi nudi, quasi a volerne fissare una materialità metafisica. “Non mi avrai mai”, gli sussurra la ragazza, che se ne va allontanandosi; Peter si rialza, i suoi tratti sono cambiati, ecco ricomparire Fred (Bill Pullman), che avevamo lasciato in prigione accusato di aver ucciso la moglie Renée. Le due donne sono identiche, poco prima le abbiamo viste insieme in una foto…

Come in Velluto blu, precedente di undici anni ma con una fisionomia implicitamente chiara che ritroveremo spesso nelle opere di Lynch, il regista ci invita a fare un giro del piacere ripercorrendo quella stessa strada a strisce gialle che compariva per qualche secondo nel rapimento notturno di Jeffrey o nella fuga d’amore di Sailor e Lula in Cuore selvaggio. Qui la strada si è allungata, non se ne vede la fine; sembra ripetersi, ipnotica come un disco che gira su se stesso, e continuare fino a tornare al punto di partenza. Questa (a)linearità esistenziale, che riproduce la vita, è l’espressione più alta di un cinema che dimostra di conoscere i confini e che li oltrepassa naturalmente; che sperimenta un linguaggio che è prima di tutto esperienza diretta di un sentire viscerale ed ermetico: Lynch ripensa l’immagine cinematografica privandola, almeno in parte, della sua componente oggettiva e caricandola di uno sguardo destabilizzante. Il fatto che Fred odi le telecamere e che ricordi le cose a modo suo – “il modo in cui le ricordo non è necessariamente quello in cui sono accadute”, dice all’inizio – è il pretesto per spaziare in una temporalità erratica che raccorda sullo stesso piano presente e futuro (pensiamo alla scena in apertura e chiusura con la voce al citofono che informa della morte di Dick Laurent) in un ping pong di identità, sogni e allucinazioni che non hanno risposta. Perché Lynch non è interessato a dare una ricostruzione plausibile degli eventi, né tantomeno a misurarsi con una prova di stile, anzi; a volte interrompe questo flusso ricordandoci, divertito, che siamo comunque in un film (le figure dei detective, i dettagli di occhi e bocche, e in generale tutti quegli elementi che riportano immediatamente al thriller e al noir).

Alla base di Strade perdute, che sarà un punto di partenza fondante per il successivo Mulholland Drive, c’è un rapporto d’amore minato dall’insicurezza dell’uomo nei confronti della sua donna: l’impossibilità per Fred di avere Renée – la telefonata a casa, il gesto consolatorio della mano sulla spalla di lui, contratta nello sforzo sessuale – muta in possibilità per Peter, anche lui sedotto e soggiogato da una femme fatale (I put a spell on you because you’re mine), che diviene in ultima istanza oggetto oscuro e mercificato del desiderio (i filmini porno). È una metamorfosi sensoriale quella che Strade perdute mette in scena e Lynch, come Ovidio, si fa cantore di questo lucido immaginario popolato da creature che coabitano lo spazio del reale, attraversando violenze, perversioni, incubi, zone di elettricità e ombra. I’m deranged down down down canta Bowie in uno dei brani della superba colonna sonora, che vede accanto alle musiche composte dal sodale Badalamenti e da Barry Adamson contributi di Trent Reznor, Lou Reed, Marilyn Manson, The Smashing Pumpkins e dei Rammstein. No return, no return.