Lista visioni cinematografiche di Luciano


 
 The Fabelmans (The Fabelmans)

 
pic_movie_1599   NUM   1599  
  DATA E CINEMA   2022.12.18 KAPPADUE (CINEF 58-11)  
  RASSEGNA   CINEFORUM CHAPLIN  
 
     
  REGISTA   Steven Spielberg  
  ATTORI   Gabriel LaBelle, Michelle Williams, Paul Dano, Seth Rogen, Jeannie Berlin, Keeley Karsten, Robin Bartlett, Oakes Fegley, Julia Butters, Gabriel Bateman, Judd Hirsch, Nicolas Cantu, Sam Rechner, Chloe East, Isabelle Kusman, David Lynch  
  PRODUTTORE   Amblin Entertainment, Amblin Partners, Universal Pictures  
  SCENEGGIATORE   Tony Kushner, Steven Spielberg  
  COMPOSITORE   John Williams  
  PAESE   USA  
  CATEGORIA   Drammatico  
  ANNO   2022  
  DURATA   151 minuti  
  LINGUA    
  SOTTOTITOLI    
  URL   https://www.comingsoon.it/film/the-fabelmans/61759/scheda/  
 
 
 

DESCRIZIONE   The Fabelmans, film diretto da Steven Spielberg, è una storia semi-autobiografica, basata sull'infanzia e l'adolescenza del regista e in particolare si ispira al periodo tracorso in Arizona. Il film racconta la storia di Sammy Fabelman (Gabriel LaBelle), un ragazzo cresciuto tra l'Arizona e la California tra gli anni 50 e 60, che grazie all'amore di sua madre (Michelle Williams) per la musica e il cinema, si appassiona anche lui alla settima arte.
Il giovane scopre uno sconvolgete segreto familiare e si rifugia nella magia del cinema, che con il suo potere salvifico può aiutarlo a vedere la verità...
Gli altri protagonisti principali del film sono Paul Dano, che interpreta Burt, il padre di Sammy e Seth Rogen, un amico della famiglia
 

COMMENTO   Cinefilo è cinefilo, The Fabelmans, ma non è mai inutilmente feticista, né assomiglia ad altri film sul cinema. Nostalgico, forse, ma mai chiuso nel solipsistico rimpianto di un tempo che fu. Nemmeno sul fronte autobiografico, finalmente declinato secondo traiettorie diverse da quelle cui il cinema più recente ha abituato. Poi certo, che Sam sia Steven ce lo ricorda lo stesso regista, di continuo, specie nella scelta di un attore, Gabriel LaBelle, il Sam più "adulto" dei tre che vediamo sullo schermo, che di Spielberg è chiaramente più un sosia che un avatar. Ma Steven non è ripiegato dentro Sam, e Sam si apre per accogliere la proiezione di ogni spettatore. (Federico Gironi - Comingsoon.it)
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Cos’è il cinema? A cosa serve?
Il cinema serve a esorcizzare paure.
Serve a cogliere la realtà che a occhio nudo non vediamo, o non vogliamo vedere. A manipolarla, anche, quella realtà, tagliando via le parti che non ci piacciono, o raccontando storie che con la realtà non hanno niente a che vedere. O, ancora, mettendo sullo schermo ciò che è diverso dal reale: dando magari dimensione superomistica a un bullo qualunque, o a ridimensionare finalmente, evidenziandone la dimensione ridicola, chi è cattivo e pericoloso.
Serve a far rimanere lo spettatore a bocca aperta, a farlo ridere, a farlo piangere.
È ciò che impara Sammy Fabelman (che è quasi fableman, l'uomo della fiaba) nella sua carriera di giovane spettatore e, immediatamente dopo, aspirante filmmaker, folgorato dalla visione del Più grande spettacolo del mondo, scioccato dalla scena dell’incidente ferroviario tanto da doverla replicare prima, e filmare poi, a casa sua.

Da quel momento in avanti, Sammy non smetterà mai di filmare, girare, inventare storie e situazioni, arrangiare effetti speciali. Affinare la sua arte. E imparare cosa sia il cinema, e a cosa possa servire.
L’ha imparato Sammy, quindi l’ha imparato Steven Spielberg, maestro indiscusso, uno che il cinema lo respira, lo vive, lo incarna. E allora è chiaro che The Fabelmans è tutto quello che è il cinema: è esorcismo (di una triste storia di divorzio e sofferenza), è fascinazione (per il racconto), è emozione, dramma e commedia, racconto di formazione. E è sicuramente, sarebbe sciocco e ingenuo non considerarlo, manipolazione: nessuno di noi potrà mai sapere se e quanto Spielberg abbia abbellito, imbruttito, modificato, censurato o esaltato la realtà dei fatti. Ma io, francamente, me ne infischio, e ve ne dovreste infischiare anche voi.
Perché questo è cinema, la verità andatevela a cercare altrove.

Cinefilo è cinefilo, The Fabelmans, ma non è mai inutilmente feticista, né assomiglia ad altri film sul cinema. Nostalgico, forse, ma mai chiuso nel solipsistico rimpianto di un tempo che fu. Nemmeno sul fronte autobiografico, finalmente declinato secondo traiettorie diverse da quelle cui il cinema più recente ha abituato. Poi certo, che Sam sia Steven ce lo ricorda lo stesso regista, di continuo, specie nella scelta di un attore, Gabriel LaBelle, il Sam più “adulto” dei tre che vediamo sullo schermo, che di Spielberg è chiaramente più un sosia che un avatar. Ma Steven non è ripiegato dentro Sam, e Sam si apre per accogliere la proiezione di ogni spettatore.

È, anche, The Fabelmans, il film (volutamente) forse meno compatto, il più frastagliato e il più ondivago, tra tutti quelli diretti da Spielberg in carriera, che pure gli stanno tutti dentro in immagini, figure e personaggi.
Un film sempre soggetto a sbalzi di tono, di umore, di situazioni. A cambi di fuoco repentini. Ma questo lo rende più umano, se vogliamo, mentre la capacità di Spielberg di flirtare con questa indeterminatezza senza mai perdere, nemmeno per un istante, il controllo totale sulla sua arte, quello ha del superumano.
Basta pensare a quando Spielberg, nel momento in cui i suoi genitori, i genitori si Sam, annunciano ai figli la decisione di divorziare, ed è tutto un continuo e isterico passare da un primo all’altro, e un tutto un traboccare di sentimento, inserisca un’inquadratura quasi subliminale in cui Sam si vede, si immagina, in uno specchio mentre filma quella scena.
Razionalità e sentimento. Scienza e arte. Distanza e partecipazione. Padre e madre. Queste sono le dicotomie (la dicotomia) alla base di questo film.
Per questo, qui, ci si commuove meno che in altri film di questo maestro. Per Spielberg era fondamentale tenere l’equilibrio. La barra al centro.

Forse, però, la cosa più bella di tutte arriva sorprendentemente alla fine. In un finale rischioso, che potrebbe essere scambiato per sfacciato, o perfino macchiettistico, a rischio figurina, nella sua testarda voglia di mettere a confronto il giovane Sam con la leggenda John Ford (interpretato da un altro regista, a pensarci straordinariamente somigliante, ma davvero inatteso: il nome non lo dico per non rovinare la sorpresa), ma che non lo è affatto. Al contrario.
La cosa più bella di tutte, dicevo, è che al termine di questa sarabanda di situazioni e sentimenti, che tirano in ballo il personale di Spielberg, e la memoria degli spettatori, e l’amore per il cinema, e per la vita, Spielberg stesso decida di chiudere ricordando che il cinema può - deve anzi - essere una cosa semplice. Un gioco, per divertirsi e divertire.
È semplice: orizzonte alto o orizzonte basso. Mai in mezzo.
Un aggiustamento della macchina da presa.
Nero.
Fine.
Applausi.

di Federico Gironi
Critico e giornalista cinematografico
Programmatore di festival