Lista visioni cinematografiche di Luciano


 
 Il Colibrì (Il Colibrì)

 
pic_movie_1581   NUM   1581  
  DATA E CINEMA   2022.10.16 KAPPADUE  
  RASSEGNA    
 
     
  REGISTA   Francesca Archibugi  
  ATTORI   Pierfrancesco Favino, Kasia Smutniak, Bérénice Bejo, Laura Morante, Sergio Albelli, Alessandro Tedeschi, Benedetta Porcaroli, Massimo Ceccherini, Fotinì Peluso, Francesco Centorame, Pietro Ragusa, Valeria Cavalli, Nanni Moretti, Francesca De Martini  
  PRODUTTORE   Fandango con Rai Cinema, Les Films des Tournelles, Orange Studio  
  SCENEGGIATORE   Francesca Archibugi, Laura Paolucci, Francesco Piccolo  
  COMPOSITORE   Battista Lena  
  PAESE   Italia, Francia  
  CATEGORIA   Drammatico  
  ANNO   2022  
  DURATA   126 minuti  
  LINGUA    
  SOTTOTITOLI    
  URL   https://www.comingsoon.it/film/il-colibri/59964/scheda/  
 
 
 

DESCRIZIONE   Il Colibrì, film diretto da Francesca Archibugi, racconta la vita di Marco Carrera (Pierfrancesco Favino), narrata tramite i ricordi dell'uomo in un percorso di vita che parte dai primi anni '70. Mentre si trova al mare, un Marco ragazzino conosce una sua coetanea, Luisa Lattes, una bambina bellissima e dal temperamento particolare. È amore a prima vista e, nonostante i due non avranno mai modo di stare insieme, Marco resterà per sempre innamorato di lei. La sua compagna di vita sarà, infatti, un'altra donna, Marina, con cui dopo il matrimonio andrà a vivere nella Capitale e dalla quale avrà una figlia, Adele.

L'uomo dovrà tornare, però, a Firenze, a causa di un'esistenza che lo sottoporrà a dure prove, che cercherà di superare grazie all'aiuto di Daniele Carradori, lo psicoanalista della moglie. Il dottore insegnerà a Marco come affrontare i cambiamenti, soprattutto quelli del tutto inaspettati, nella sua vita. È così che tramite Marco viene raccontata l'esistenza dell'uomo, che vacilla tra grandi amori, coincidenze fortuite e gravi perdite, portando l'essere umano a una logorante resistenza pur di raggiungere la felicità.
 

COMMENTO   Francesca Archibugi non si tira indietro di fronte alla complessità del libro di Giovanni Veronesi, diventato per molti un testo guida durante il lockdown, e rispetta la sua struttura temporale dando al racconto un ritmo veloce che a volte impedisce al film di prendere un po' di respiro. Ci sono tante emozioni nel Colibrì, che passano attraverso gli occhi e il corpo di Pierfrancesco Favino, che si mette al servizio del personaggio e in qualche modo lo completa, facendone un eroe calmo attaccato alla vita e ai ricordi. (Carola Proto - Comingsoon.it)
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Quando, in silenzio e nel buio di una sala, si guarda un film ispirato a un romanzo del cuore, è difficile abbandonarsi al racconto per immagini dimenticando tutto il resto, perché l'attenzione è focalizzata sulla fedeltà all'opera di partenza e inevitabilmente sul confronto. Nel caso de "Il Colibrì", poi, bisogna fare i conti con un attaccamento che nei due anni di lockdown è cresciuto, e questo perché Sandro Veronesi ha inventato un personaggio in cui è stato facile immedesimarsi in tempi di sofferenza e di perdite, visto che Marco Carrera è soprattutto un uomo che cerca di accettare il suo destino e di resistere alle tempeste che agitano la sua calma barchetta. Mentre eravamo chiusi in casa, insomma, la resilienza del personaggio è diventata inevitabilmente anche la nostra battaglia per andare avanti nonostante tutto.

Stando così le cose, è bello accorgersi che nella trasposizione di Francesca Archibugi, anche autrice della sceneggiatura con Francesco Piccolo e Laura Paolucci, c'è un elemento in più: uno struggimento che punta dritto al nostro cuore e che permette la sospensione dell'incredulità e la totale immersione nell’esistenza del protagonista. E ciò non dipende soltanto dal fatto che la regista e i suoi compagni di scrittura abbiano messo nel copione il loro mondo interiore, perché la fascinazione, l'incantesimo e l'aderenza alla sorte del protagonista passano attraverso gli occhi, le espressioni, il modo di muoversi e la cadenza toscana di Pierfrancesco Favino, chiamato a interpretare un uomo apparentemente senza qualità che vola restando fermo proprio come l'uccello che dà il titolo al film. Ebbene, proprio Favino, grazie alla sua fusione totale con il personaggio e a un atteggiamento simile nei confronti degli affetti, aggiunge al mosaico della personalità di Carrera le tessere che forse ci mancavano, e che ci aiutano a vedere meglio l'eroismo di un uomo che piange ma non si scoraggia, che sale sulla scialuppa dei ricordi e che, come Giuseppe Ungaretti nella poesia "Veglia", è tanto attaccato alla vita. Accade così che quella che sembrava resistenza passiva diventi coraggio, e che l'apparente remissività di Marco si trasformi in ostinata difesa del proprio bisogno di dare e ricevere tenerezza, virtù che possiedono gli individui cresciuti in un universo femminile e che dalle donne hanno imparato la capacità di intuire i desideri degli altri. Favino, quindi, sta a "Il Colibrì" come le note di Natalino Sapegno stanno alla Divina Commedia, solo che qui la “spiegazione” arriva anche grazie ai silenzi e ai piani d'ascolto, e le immagini amplificano le emozioni.

È un film che chiede tanto allo spettatore Il Colibrì, e che rispetta i continui salti temporali del libro omettendo però le date e creando una specie di flusso di ricordi più che di coscienza. Se una tale struttura narrativa determina un ritmo sostenuto e anche una certa tensione, accennando a eventi significativi su cui si farà chiarezza in un secondo momento, dall'altra parte toglie respiro alla narrazione, privando chi guarda del sottile piacere di "processare" avvenimenti e colpi di scena, e di godere della bellezza di un paesaggio e dell'intensità di un amore, e di riflettere sulle conseguenze, spesso funeste, di una scelta o di un gesto. E quindi o si sale sulla giostra della famiglia Carrera, oppure si rimane a distanza, diffidenti e freddi, forse infastiditi dalle nevrosi di Marina (la moglie di Marco) o dall'ambiguità di Luisa Lattes, che acquista carnalità smettendo di essere la figura evanescente del libro, che è una specie di Beatrice amata platonicamente.

Ne Il Colibrì, il rapido concatenarsi dei fatti non non nasconde approssimazione, perché il passaggio da un periodo all'altro avviene in maniera fluida. Il problema è che davanti a un film come il nostro, trangugiato fino in fondo senza nemmeno la pausa per i popcorn, viene da dire: "Ehi, aspetta un attimo. Dove siamo? Fermiamoci". E anche se è giusto aver trasformato le lettere fra Marco e Luisa in accadimenti, a volte vorremmo rivedere alcune scene a rallentatore, proprio come si fa con i gol di una partita vista in tv. Inoltre, siccome i personaggi del libro sono tanti e, a parte il protagonista, devono dividersi la ribalta, quelli più interessanti perdono l'occasione di mostrarsi in tutta la loro complessità e bellezza. E’ il caso di Irene, la sorella depressa di Marco così bene interpretata da Fotinì Peluso, che nei suoi occhi azzurri accoglie la tragedia di un'estrema sensibilità e di un dolore che non troverà mai pace.

Infine c’è Nanni Moretti, a cui è stato affidato il personaggio forse più positivo della storia: quel Daniele Carradori, un tempo psichiatra, che accompagna Marco nelle sue decisioni fondamentali. Ne ha interpretati svariati di strizzacervelli il regista di Caro Diario, ma qui è completamente al servizio del film, e se non rinuncia a qualche "morettismo" - come arbitrare una gara sportiva - partecipa ed è in accordo con la malinconia della storia, che nasce dalla consapevolezza che nella vita ci sono anche il rimpianto e la morte. Marco Carrera lo sa e dalla sua eternità di personaggio di finzione sembra volerci dire nella sua c'è stata tanta gioia, e questa gioia è nata dall'aver messo sempre gli altri prima di sé.

di Carola Proto
Giornalista specializzata in interviste
Appassionata di cinema italiano e commedie sentimentali