Lista visioni cinematografiche di Luciano


 
 Il Pataffio (Il Pataffio)

 
pic_movie_1558   NUM   1558  
  DATA E CINEMA   2022.08.20 ARENA FIUME  
  RASSEGNA    
 
     
  REGISTA   Francesco Lagi  
  ATTORI   Lino Musella, Giorgio Tirabassi, Viviana Cangiano, Giovanni Ludeno, Vincenzo Nemolato, Daria Deflorian, Alessandro Gassmann, Valerio Mastandrea  
  PRODUTTORE   Vivo film con Rai Cinema, in associazione con Colorado Film Production, in coproduzione con Umedia  
  SCENEGGIATORE    
  COMPOSITORE   Stefano Bollani  
  PAESE   Italia, Belgio  
  CATEGORIA   Commedia, Storico  
  ANNO   2022  
  DURATA   117 minuti  
  LINGUA    
  SOTTOTITOLI    
  URL   https://www.comingsoon.it/film/il-pataffio/61638/scheda/  
 
 
 

DESCRIZIONE   Il Pataffio, film diretto da Francesco Lagi, è tratto dall'omonimo romanzo buffo di Luigi Malerba. Ambientato nel Medioevo, racconta le avventure di un gruppo di soldati e di cortigiani con a capo Marconte Berlocchio (Lino Musella) e la sua recente sposa Bernarda (Viviana Cangiano). Giunti in un remoto feudo, il gruppo si rende conto che intorno al castello fatiscente vivono solo villani per nulla disposti a farsi governare. Tra appetiti profani e sacri languori, militi sgangherati e povere anime, ha inizio un racconto sulla libertà, la fame, il sesso e il potere.
Nel cast sono presenti anche Valerio Mastandrea, Alessandro Gassmann e Giorgio Tirabassi.

CURIOSITÀ SU IL PATAFFIO
Presentato in concorso al Locarno Film Festival 2022.

FRASI CELEBRI DI IL PATAFFIO (dal Trailer Ufficiale del Film)
- Berlocchio (Lino Musella): Perché non se vedono le autorità qui schierate a ricevere il loro nuovo signore?
- Migone (Valerio Mastandrea): Se so' iti!
- Berlocchio: Iti 'ndove?!
- Migone: So' iti proprio, so' morti.

- Migone: Vu lo sapete come ce chiameno?
- Berlocchio: Come ve chiameno?
- Migone: Terra de migragna, dove se c'è uno che magna, ce n'è cento che se lagna!

- Berlocchio: Che se lancino le corde co' li arpioni e poi v'arrampicate!

- Migone: Seco amichi dritti alla merda
 

COMMENTO   Per favore, non chiamatelo Brancaleone.
Certo, che il capolavoro di Monicelli c’entri qualcosa, con Il Pataffio, o viceversa, non è questione che si possa negare. Basterebbe vedere come Alessandro Gassmann, pur in un ruolo assai diverso, faccia spesso e volentieri shadow boxing contro il fantasma di papà Vittorio.
Ma non è possibile negare, ugualmente, che pur toccando mondi e toni simili, pur prendendo spunto e riferimento, Francesco Lagi abbia fatto un film molto diverso. Con un’identità sua, autonoma, capace di rispecchiare il presente.

Basterebbe vedere come Lagi lavora sull’umorismo e la comicità, per dirne una. In un modo che da una parte sembra implicitamente ammettere, e non potrebbe essere altrimenti, che replicare Monicelli, e soprattutto i livelli di quella lingua e quelle battute, sarebbe stata opera improba per chiunque; ma che, soprattutto, sta a indicare fin dall’inizio che qui, nel Pataffio, quel che conta davvero, e lo si vede nella bellissima parte finale del film, nel cosiddetto terzo atto, è una malinconia che non ci si riesce a scrollare di dosso nemmeno quando si ride. Un crepuscolarismo perfettamente in linea con i tempi in cui viviamo, impegnatissimi a suonare, cantare e ballare mentre il Titanic sta affondando.

Monicelli dirigeva l’Armata Brancaleone negli anni del boom. Raccontava l’Italia sgangherata e nazional-popolare, e Aurocastro era magari una pia illusione, ma comunque lo sguardo verso il futuro era ostinatamente ottimista, fino all’ultimo. E a ragione.
Oggi le cose stanno un po’ diversamente. L’unico feudo da conquistare, oggi, quello di Tripalle, è “terra di micragna”, per dirla col Migone di Mastandrea: un luogo in disgrazia, affamato, brullo, senza prospettive. Senza futuro. E infatti.
Si ride quindi, certo, ma in qualche modo si ride amaro, fin dall’inizio, perché i destini di tutti sono annunciati: quelli dell’arrogante Marconte Berlocchio (Musella), in realtà stalliere diventato “nobile” quasi per caso, del suo fido consigliere Belcapo (Tirabassi), della moglie Bernarda (Viviana Cangiano, una scoperta straordinaria), del frate Cappuccio (Gassmann) e dei soldati Ulfredo e Manfredo (Nemolato e Ludeno).

Quello che, tra le righe, Il Pataffio preannuncia fin dall’inizio, quel che tutti noi intuiamo epidermicamente, si rivela pienamente in quel momento di grande cinema nel quale Lagi fa compiere un passaggio di stato definitivo del suo film, lo trasforma, lo conduce altrove, in coincidenza con un trapasso che ha del commovente per la sua dolce intensità.
Dopo, dopo quel momento, dopo un primo piano indimenticabile, è tutta discesa.
Anzi, è un precipizio. L’arroganza del potere, il suo egoismo rapace (che è tanto più tale quanto nasce da rodimenti revanscisti relativi alle proprie umili origini) esplodono e si condannano. Ma, attenzione.
Attenzione, perché se il Potere, qui, è condannato, spacciato, o al massimo si adopera in untuosi trasformismi, non è che il riscatto del popolo oppresso si declini in maniera esattamente edificante.
L’astuto Migone, il Bertoldo del Pataffio, il popolano che avversa con la furbizia e l’intrigo il potere del marconte e della sua corte, e che a un certo punto rischia perfino di farsi sedurre da tutto questo, se nel libro di Malerba da cui Lagi ha tratto questo film esce trionfatore dallo scontro col Potere, qui pagherà care le sue tentazioni, non prima però di essersi trasformato in un tribuno promotore di una rivolta democratica dal basso che, all’occhio e all’orecchio dello spettatore contemporaneo, sembra ricordare un qualche movimento populista che voleva cambiare l’Italia al suono di uno vale uno.

Il fatto è che nel mondo del Pataffio, del Pataffio rivisto e corretto dallo sguardo di Francesco Lagi, tutto quanto - libertà, potere, sesso, fame - è un gioco a perdere.
E tutti coloro che giocano, nell’illusione di poter vincere, sono raccontati da Lagi con una profondissima umanità, con un affetto evidente che non arretra di un passo anche quando i difetti e le debolezze sembrano sovrastare ogni residua virtù.
I due personaggi che più di tutti testimoniano l’amore del regista (e sceneggiatore) per i suoi personaggi sono Bernarda da un lato, e Belcapo dall’altro, raccontati con una grazia che è tipica di questo autore fiorentino dalla carriera tanto eterogenea quanto coerente.
Perché nel Pataffio si ritrovano echi e assonanze che arrivano tanto dall’esordio di Missione di pace (che pure, già, era a modo suo assai bracaleoniano), quanto da quel piccolo, misconosciuto gioiellino che è Quasi Natale: echi e assonanze sottili e mai sfacciate, fatti di parole, piccoli gesti, rimandi, sentimenti che anche qui, in questo Medioevo aspro e ipotetico che ci pare tanto presente, sono presentissimi e sempre sotto il segno di un umanesimo pietoso e carico di comprensione per le sventure nostre e del prossimo.
Che poi, a ben vedere, sono le medesime.

di Federico Gironi
Critico e giornalista cinematografico
Programmatore di festival
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Una commedia medievale, fra commedia e una denuncia del vuoto di un potere inadeguato, ma anche di antieroi spaesati. Il nuovo film di Francesco Lagi, talento troppo poco prolifico del nostro cinema, arriva dopo l’esordio con Missione di pace e Quasi Natale. Si intitola Il pataffio, è un adattamento del romanzo omonimo di Luigi Malerba, è stato presentato in concorso al Locarno Film Festival 2022, e arriverà nelle sale il 18 agosto distribuito da 01.

Un affresco corale con un cast variegato, composto da Lino Musella e Viviana Cangiano, insieme a Valerio Mastandrea, Giorgio Tirabassi, Alessandro Gassmann, Vincenzo Nemolato e Giovanni Ludeno. Le musiche sono di Stefano Bollani.

In un remoto medioevo immaginato, un improbabile gruppo di soldati e cortigiani capitanati dal Marconte Berlocchio e dalla sua fresca sposa Bernarda, arriva in un feudo lontano. Ma quel castello è un postaccio decrepito abitato da villani per niente disposti a farsi governare. Tra appetiti profani e sacri languori, militi sgangherati e povericristi, un racconto sulla libertà, la fame, il sesso e il potere.

Così presenta il film il regista, direttamente da Locarno. “Incontrare il libro di Malerba è stato l’inizio di un viaggio in un mondo altro, un invito ad andare in un tempo e in un luogo che altrimenti non avrei mai visitato. Mi hanno fatto compagnia personaggi strampalati e struggenti che ho subito riconosciuto come nostri contemporanei. La parola uno dei temi più importanti del film, ci sono tanti dialoghi, molte cose succedono in scene a due, con rapporti diretti. Si doveva recitare forte, altrimenti non funzionava. Ognuno l’ha fatto con un modo di apparire ed esprimersi. Gli attori sentivano che il gioco era interessante, poi per rendere l’aspetto visivo del film più avvincente, in questa commedia umana in cui a tratti i personaggi sono maschere o pupazzi un po’ patetici, hanno tutti compreso necessità di segnare i personaggi con strani capelli, barbe, occhi”.

Valerio Mastandrea ha sottolineato la natura politica di questo film, la sua denuncia dell’inadeguatezza del potere. “La fuga dell’uomo che voleva comandare racconta mille fughe, non solo di dittatori lontani. Mi piace pensarla come una deresponsabilizzazione di qualcuno che vuole salvare sé stesso e basta. Tutta la retorica del potere come ordine finisce così nell’incapacità a esercitarlo. Non mi sembra solo lo specchio del nostro paese, ma anche un modo di intendere il potere in tutto il mondo occidentale. Mi sembra un film che parla in sostanza solo di quello. Conosco il progetto da tempo. Ho visto il film finito e completato e riconosco che siamo riusciti a suonare tutti insieme, ma i miei limiti nell’entrare in quella forma di recitazione vera e propria io li vedo, li conosco. Poi Lagi e gli altri mi hanno aiutato, ma per me non è stato assolutamente facile, ero quello che sgusciava più di tutti, anche sul linguaggio. Per divertirmi cercavo sempre di trovare qualcosa in più, attento a non essere eccessivo e scadere in una modernità di intenzione rispetto a certi passaggi. È stato anche per me un lavoro stimolante, non è facile trovare cose che ti appassionino ancora dopo tanto tempo. Questa per me è stata anche una sfida. Sono contento di averla accettata”.

Un’altra convincente interpretazione è quella del protagonista vero e propio de Il pataffio, il marconte Bellocchio, signorotto arricchito da nozze opportunistiche. “Anche se rimaneggiata e sfoltita la sceneggiatura aveva un corpo molto forte, oltre ai termini naturalistici e logici per raccontare questa storia c’era bisogno anche di molta disperazione. È veramente raro partecipare a un film con tutti elementi che devono essere in sintonia. Ognuno di noi si preoccupava che le scene degli altri fossero andate bene, perché ogni dettaglio componeva il quadro. Il mio è un personaggio che vive di tutti i rapporti, in relazione con tutti gli altri e questo ti dà molte possibilità. Ci sono stati momenti in cui cercavi la chiave in diretta, magari di ammorbidire, di rendere più semplice, ma sentivi subito che il testo non entrava, che il paradosso della situazione non riuscivi a raccontarla e da fuori ci veniva subito segnalato. Ci diceva ‘recitate forte’, che non vuol dire necessariamente urlare. È un materiale che richiede una costante intensità”.

di Mauro Donzelli
critico e giornalista cinematografico
intervistatore seriale non pentito
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Ecco finalmente il trailer ufficiale di Il Pataffio, il nuovo film scritto e diretto da Francesco Lagi che verrà presentato in concorso al 75° Festival di Locarno e debutterà poi nelle sale italiane il 18 agosto distribuito da 01 Distribution.
Il Pataffio, film che a giudicare da queste immagini sembra voler rinverdire i fasti del capolavoro monicelliano dell'Armata Brancaleone, è un adattamento dell'omonimo romanzo di Luigi Malerba edito da Quodlibet, ed è una storia ambientata in un remoto medioevo immaginato, che vede protagonista un improbabile gruppo di soldati e cortigiani capitanati dal Marconte Berlocchio e dalla sua fresca sposa Bernarda, che arriva in un feudo lontano. Ma quel castello è un postaccio decrepito abitato da villani per niente disposti a farsi governare. Tra appetiti profani e sacri languori, militi sgangherati e povericristi, Il Pataffio diventa un racconto sulla libertà, la fame, il sesso e il potere.

"Incontrare il libro di Malerba - racconta Francesco Lagi, che è quello che ha diretto, oltre alla popolare serie Netflix Summertime, film assai belli e purtroppo poco visti come Quasi Natale e Missione di pace, nonché di un documentario intenso e commovente come Zigulì - è stato l’inizio di un viaggio in un mondo altro, un invito ad andare in un tempo e in un luogo che altrimenti non avrei mai visitato. Mi hanno fatto compagnia personaggi strampalati e struggenti che ho subito riconosciuto come nostri contemporanei".
Questo è il trailer italiano ufficiale di Il Pataffio, interpretato da Lino Musella, Valerio Mastandrea, Alessandro Gassmann, e ancora Giorgio Tirabassi, Viviana Cangiano, Giovanni Ludeno, Vincenzo Nemolato e Daria Deflorian.

di Federico Gironi
Critico e giornalista cinematografico
Programmatore di festival