Lista visioni cinematografiche di Luciano


 
 Licorice pizza (Licorice pizza)

 
pic_movie_1533   NUM   1533  
  DATA E CINEMA   2022.03.22 KAPPADUE  
  RASSEGNA    
 
     
  REGISTA   Paul Thomas Anderson  
  ATTORI   Alana Haim, Cooper Hoffman, Sean Penn, Bradley Cooper, Tom Waits, Benny Safdie, Emma Dumont, Maya Rudolph, John C. Reilly, Mary Elizabeth Ellis, Joseph Cross, Skyler Gisondo  
  PRODUTTORE   Ghoulardi Film Company  
  SCENEGGIATORE    
  COMPOSITORE    
  PAESE   USA  
  CATEGORIA   Commedia, Drammatico, Sentimentale  
  ANNO   2021  
  DURATA   133 minuti  
  LINGUA    
  SOTTOTITOLI    
  URL   https://www.comingsoon.it/film/licorice-pizza/59273/scheda/  
 
 
 

DESCRIZIONE   Licorice Pizza, film diretto da Paul Thomas Anderson, è ambientato nella San Fernando Valley degli anni Settanta e racconta la storia di un giovane liceale, il quindicenne Gary Valentine (Cooper Hoffman), con una carriera avviata come attore sin dall'infanzia. Il giorno in cui a scuola si scatta la foto per l'annuario Gary incontra Alana Kane (Alana Haim), una ragazza di diversi anni più grande di lui, da cui rimane fortemente colpito. I due iniziano a frequentarsi e a passare diverso tempo insieme, stringendo sempre più amicizia, tanto che finiscono per avviare un'azienda di letti ad acqua, gestita da Gary, ma con Alana come dipendente. Siamo nel 1973 e questi due giovani vivono diverse avventure, correndo da una parte all'altra della città, crescendo giorno dopo giorno e innamorandosi, ma non manca di certo anche qualche litigio.
 

COMMENTO   Il più quintessenzialmente altmaniano dei film di Anderson, che però è al tempo stesso una cosa tutta sua, tutta nuova, perché esaurire Paul Thomas Anderson nel calco di Robert Altman significa non saper vedere, non saper comprendere. Volendo andare all’essenziale, quella di Licorice Pizza è una storia di semplicità esemplare: la storia di un lui che incontra la lei. Archetipi. Sotto quest'essenzialità, però, c'è tutto: la vita, la libertà, la bellezza, il cinema. Licorice Pizza è movimento, e in movimento. È un luminoso e bellissimo mosaico fatto di frammenti, composto da schegge di vita (di cuore) esplose nel movimento della stessa, che la riflettono e la distorcono e la illuminano, e che formano un’immagine abbagliante fatta di sogno, risate, incoscienza, follia. Di un cinema che non ha paura di sé stesso e delle proprie regole, né della trasgressione. Che ama il suo passato e guarda dritto verso il suo futuro, ma che del tempo, in realtà ne ne infischia anche abbastanza, tutto concentrato nella sua capacità di evocare e restituire movimenti, esaltazioni, dolori, sentimenti. (Federico Gironi - Comingsoon.it)
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Quando ho visto Licorice Pizza, avevo ancora fresca una visione recente, in sala, di Nashville di Robert Altman.
Che Paul Thomas Anderson sia stato spesso e volentieri considerato l’erede di Altman, lo sappiamo tutti, ma mai come in questo caso, nel caso di Licorice Pizza, mi è sembrato il legame tra i due registi fosse così chiaro, evidente, preciso, sincero. Davvero ho avuto l’impressione che Licorice Pizza fosse il Nashville di Paul Thomas Anderson, lì dove Nashville è il più quintessenzialmente altmaniano dei film di Anderson.
E non è tanto questione di setting (qui la San Fernando Valley tra il 1973 e il 1974, lì la Nashville del 1975), o di piccole e meno piccole aderenze di trama (la più evidente forse riguarda un contesto elettorale, anche se in PTA è circoscritto); nemmeno della proverbiale “coralità”, termine ombrello spesso evocato per mascherare col suo volume altri vuoti di contenuto o di analisi.

Il fatto è che Licorice Pizza ha esattamente la stessa libertà, la stesso rumore sordo di disillusione che viene messo a tacere da un’energia vitale irrefrenabile e trascinante, la stessa potenza sentimentale e la stessa capacità di procedere per girandole continue di eventi assurdi e improbabili, per ellissi esasperate, raccontato lo squallore, la gioia, l’amore, il grottesco, la follia, il sentimento. E il fatto è che Licorice Pizza è quella cosa lì, e al tempo stesso una cosa tutta sua, tutta nuova, perché esaurire Paul Thomas Anderson nel calco di Robert Altman significa non saper vedere, non saper comprendere.

Volendo andare all’essenziale, quella di Licorice Pizza è una storia di semplicità esemplare: la storia di un lui che incontra la lei. Archetipi.
Lui incontra lei, Gary incontra Alana, Cooper Hoffman incontra Alana Haim, e i dieci anni che si passano (15 lui, 25 lei) sono solo uno degli ostacoli disseminati da loro stessi e da Anderson sulla strada per la loro felicità, la strada che li porterà a un bacio atteso, irraggiungibile e inevitabile. Una strada che è quella della vita, prima che dell’amore, e che Gary e Alana percorrono sempre di corsa, in mille direzioni, insieme, separati, avvicinandosi, allontanandosi, tornando a unirsi.

Perché Licorice Pizza è movimento. In movimento. Un movimento incessante, che avviene a piedi, in auto, in aereo, fatto di telefonate, scherzi, cene, cocktail, invenzioni, letti ad acqua, arresti improvvisi, provini, pazze idee imprenditoriali, salti con la moto, comitati elettorali e flipper. Tutto il film è un flipper, con Gary e Alana a fare da palline che schizzano e rimbalzano da una parte all’altra, troppo impegnate a concentrarsi sul proprio riflesso, a perdersi nel movimento, per riconoscersi davvero, e cedere all’inevitabile.

Sarà un caso, allora, ma la scena forse più bella di Licorice Pizza è quella che racconta un movimento. Un movimento che avviene anche in mancanza della forza propulsiva più immediata ed evidente. Gary e Alana e la loro gang di ragazzini sono su un camion, da qualche parte in cima sulle colline, e hanno appena giocato un brutto tiro a un clone del Warren Beatty di Shampoo interpretato da Bradley Cooper (ma nel film ce n’è anche un William Holden in versione Sean Penn, aizzato da un sublime Tom Waits, ennesimo link altmaniano del film). Orgogliosi della loro bravata, devono solo scappare ma: sorpresa, è finita la benzina. C’è la crisi del petrolio. E allora tocca spingere prima e lasciare fare alla gravità poi, col camion che scende giù dalla collina, curva dopo curva, in retromarcia, in silenzio, senza motore, sempre più veloce, inarrestabile, come la gravità, come l’inerzia, come le leggi della fisica e quelle della vita.

L’altra scena da citare, di Licorice Pizza, in apparenza col movimento non ha molto a che fare. È, anzi, sembra, almeno, una studiata parentesi statica. Corpi immoti in un ristorante, due uomini, una donna (giovane, Alana) a fare da testimone al loro dialogo. Un dialogo carico di dolore, sofferenza, imbarazzo: sono le parole a muoversi, e con loro il pulsare dei sentimenti.I due uomini si amano, ma il lavoro (di uno) li separa. Non concede loro spazi. Ecco che però il movimento c’entra anche qui: perché all’esterno, di fronte agli altri, tutto deve rimanere fermo. La finzione di una vita richiede immobilismo. E difatti è quello che non finge che si muove, che si alza dal tavolo, che lascia il ristorante, accompagnato da Alana, imbarazzata testimone. È muovendosi con lui, comprendendo il suo dolore, che Alana capisce che è ora di smettere di giocare e rimbalzare a casaccio, e di andare a collidere dritta contro Gary, liberando così quel che deve essere liberato.

È un luminoso e bellissimo mosaico fatto di frammenti, Licorice Pizza. Composto da schegge di vita (di cuore) esplose nel movimento della stessa, che la riflettono e la distorcono e la illuminano, e che formano un’immagine abbagliante fatta di sogno, risate, incoscienza, follia. Di cinema. Un cinema che non ha paura di sé stesso e delle proprie regole, né della trasgressione. Che ama il suo passato e guarda dritto verso il suo futuro, ma che del tempo, in realtà se ne infischia anche abbastanza, tutto concentrato nella sua capacità di evocare e restituire movimenti, esaltazioni, dolori, sentimenti. Per raccontare l’inevitabilità dell’amore, con un movimento (tanto per cambiare) che è speculare a quello di Il filo nascosto: lì l’amore come prigione, strumento di potere, compromesso, legame con la morte; qui l’amore come libertà, anarchia, rivendicazione di sé, esplosione di vita. E che vita, che libertà, che bellezza. Che cinema.

di Federico Gironi
Critico e giornalista cinematografico
Programmatore di festival