Lista visioni cinematografiche di Luciano


 
 The King's man - Le origini (The King's man)

 
pic_movie_1507   NUM   1507  
  DATA E CINEMA   2022.01.22 DIAMANTE  
  RASSEGNA    
 
     
  REGISTA   Matthew Vaughn  
  ATTORI   Ralph Fiennes, Gemma Arterton, Rhys Ifans, Matthew Goode, Tom Hollander, Harris Dickinson, Daniel Brühl, Djimon Hounsou, Charles Dance, Stanley Tucci, Alexandra Maria Lara, Ross Anderson, Neil Jackson, Alison Steadman, Branka Katic, Robert Aramayo, Joel Basman  
  PRODUTTORE   Marv Films, Twentieth Century Fox  
  SCENEGGIATORE    
  COMPOSITORE    
  PAESE   Gran Bretagna, USA, Repubblica Ceca  
  CATEGORIA   Azione, Avventura, Commedia  
  ANNO   2021  
  DURATA   131 minuti  
  LINGUA    
  SOTTOTITOLI    
  URL   https://www.comingsoon.it/film/the-king-s-man-le-origini/55799/scheda/  
 
 
 

DESCRIZIONE   The King's Man - Le Origini, il film diretto da Matthew Vaughn, è il terzo capitolo della saga cinematografica basata sul Comic Book "The Secret Service" di Mark Millar e Dave Gibbons.

Il film racconta come è nata l'agenzia di intelligence indipendente che tutti conosciamo con il nome di Kingsman. Le radici della società segreta affondano nella Gran Bretagna della Prima guerra mondiale ed è in questo periodo che nella terra inglese nasce una generazione di guerrieri d'élite. Segue una raccolta dei peggiori tiranni e menti criminali della storia, riuniti tutti insieme per uno scopo comune: organizzare una guerra che spazzi via milioni di vite umane. Solo un uomo potrà tentare di fermarli in una corsa contro il tempo, prima che sia troppo tardi. Da qui nascerà un nobile codice d'onore, quello di Kingsman, impegnato nella silenziosa difesa dell'umanità intera, che prima di combattere cerca di capire chi è il suo avversario e come può sconfiggerlo.

Nel cast troviamo Ralph Fiennes, Gemma Arterton, Rhys Ifans, Matthew Goode, Tom Hollander, Harris Dickinson, Daniel Brühl, Djimon Hounsou e Charles Dance
 

COMMENTO   Anche in questo prequel, Matthew Vaughn porta avanti l'idea di cinema che è alla base della serie di Kingsman: quella basata su un'idea di spettacolo divertente e leggero, alla fine dei conti anche superficiale, che, però, non assume mai, o mai del tutto, i tratti baracconeschi e da giostra dei blockbuster d'oltreoceano, appoggiandosi ad attori e accenti british che nobilitano l'operazione. Qui l'avventura s'incrocia con la storia - anzi, la fantastoria - con una trama fantasiosa ma che tira in ballo la I Guerra Mondiale e personaggi realmente esistiti. Vaughn gioca con elitismo, paternalismo, rivoluzioni e lotta di classe, sfidando lo stigma politico ma mantenendo sempre uno spirito ironicoe beffardo grazie al quale porta a casa serenamente il risultato. (Federico Gironi - Comingsoon.it)
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Una cosa va detta subito: questo è un film dove c’è Rasputin. E Rasputin è un personaggio che ho sempre amato.
Non per questo, non per questa mia inclinazione soggettiva, però, le scene che lo vedono protagonista, Rasputin, sono tra le migliori di tutto The King's Man. O forse un po' anche per quello, sì. Ma è anche piuttosto innegabile che Rhys Ifans abbia fatto un gran lavoro nel calarsi nei panni di questo monaco folle, carismatico, drogato e libidinoso, trovando un equilibrio non facile tra la necessità di essere fumettistico da un lato e quella di non svaccare completamente dall'altro.

E che la scena in cui il suo Rasputin viene affrontato da Ralph Fiennes e compagnia in una sala del Palazzo d'Inverno, nella quale volteggia combattendo (o combatte volteggiando) mentre risuonano alcuni brani famosissimi della musica russa, dopo aver tentato di sedurre Fiennes leccandogli una ferita ed essersi abbuffato di torta al cianuro, sia divertentissima, irrealistica, e trascinante. Che, peraltro, è perfettamente corrispondente all'idea di cinema che la serie di Kingsman porta avanti: quella basata su un'idea di spettacolo divertente e leggero, alla fine dei conti anche superficiale, che, però, non assume mai, o mai del tutto, i tratti baracconeschi e da giostra dei blockbuster d'oltreoceano. Non foss’altro per tutta quella meraviglia di attori inglesi che stanno nel cast, e di accenti british che nel doppiaggio si perderanno come lacrime nella pioggia.

Rasputin, dicevamo, il Rasputin di Ifans. Destinato a una fine che riecheggia in qualche modo quella che il monaco fece nella realtà, perché in The King's Man si fa fantastoria sì, ma partendo sempre da fatti realmente accaduti. Nel film Rasputin appare perché lo si vuole membro di una specie di Spectre ante litteram, capitanata da un misterioso e spietato scozzese dal cranio pelato la cui identità verrà rivelata solo nel finale. Un uomo il cui obiettivo è quello di gettare l'Europa nel caos, scatenare la Prima Guerra Mondiale, destabilizzare il sistema e soprattutto mettere in ginocchio la Gran Bretagna di Re Giorgio VI.

Dietro al folle piano ci sono motivazioni "di classe", se così si può dire, tali da poter illudere che il tipo (chiamato dai suoi adepti "Mio Pastore") sia in fondo “solo” un rivoluzionario: in questo senso l'ipotesi verrebbe rafforzata dal fatto che perfino il Compagno Lenin, una volta tolto di mezzo Rasputin, diventa un suo agente. Ma ecco che Matthew Vaughn si premura di piazzare una credit scene che riequilibra nettamente questo pesante sbilanciamento a sinistra. Non è così quindi, la rivoluzione proletaria è un pretesto: il Pastore è solo un folle, non un rivoluzionario, anche se Vaughn pare davvero divertirsi molto a far credere che il suo film sia in qualche modo "di destra".

D'altronde: gli spettatori più attenti ricorderanno come fin dal primo film della serie si spiegava come i Kingsman fossero scelti tra le élite inglesi, come il personaggio di Michael Caine sdegnava quello di Taron Edgerton perché proletario e, quindi, cafone; e come la fondazione di questa segretissima agenzia di intelligence indipendente (che poi è la storia raccontata in The King's Man) fosse nata da un'élite e per un'élite. Il film, non a caso, si apre con la spiegazione di una madre a un figlio: se si nasce nel privilegio, si ha il dovere di dare l'esempio, di darsi da fare per chi ha bisogno, di sporcarsi le mani per primi.

Inoltre: come noto, o come noto dovrebbe essere, i sovrani coinvolti nella Prima Guerra Mondiale, Giorgio VI, lo Zar Nicola II e il Kaiser Guglielmo II, erano cugini primi (non a caso Vaughn li fa interpretare allo stesso attore, Tom Hollander). Ancora una volta, si parla di una élite, ancora più ristretta, che dominava l'Europa, e in un certo senso lo fa ancora oggi, dato che i reali dei paesi scandinavi, di Spagna e Belgio, nonché ovviamente d'Inghilterra, sono discendenti di quella stessa stirpe. E mettiamoci pure che il protagonista interpretato da Fiennes - il duca Orlando Oxford, che ha pure un Lothar africano - è un pacifista costretto a riconoscere il valore e l'utilità della violenza.

Che ci dice allora Vaughn? Ha un messaggio politico? È a favore delle élite che segretamente governano i destini del pianeta e, nel migliore dei casi, paternalisticamente si occupano delle classi inferiori? Dell’uso della forza? È un regista al soldo di Soros? No, non scherziamo. Vaughn parla di storia. Di fantastoria e di classi sociali. Inutile negare che nel 1917 il mondo funzionasse in un certo modo, così come è inutile negare che per certi versi funziona in modo analogo anche adesso. Inutile negare che le classi sociali esistono, ma sappiamo bene tutti che, grazie a Dio, le classi sociali possono essere scalate. Ce lo diceva già nel primo Kingsman, no? Tutto questo, allora, è in fin dei conti utile a Vaughn per uno e un solo motivo: mettere in scena una storia di spionaggio avvincente e ironica, imprese eroiche, personaggi realmente esistiti come quei reali e quel monaco pazzo, ma anche Mata Hari, il temibile Erik Jan Hanussen (googlate), Gavilo Princip o Alfred DuPont. Perfino l'orrore e la follia della guerra mostra, Vaughn: con scene la cui efficacia, nel breve, non sfigura affatto nemmeno se confrontata con quella di titoli ben più celebrati come il 1917 di Mendes.

E se il suo obiettivo era quello di raccontare una storia divertente, ricca di emozioni e peripezie, The King's Man porta serenamente e beffardamente a casa il risultato.

di Federico Gironi
Critico e giornalista cinematografico
Programmatore di festival