Lista visioni cinematografiche di Luciano


 
 Qui rido io (Qui rido io)

 
pic_movie_1471   NUM   1471  
  DATA E CINEMA   2021.09.20 KAPPADUE  
  RASSEGNA    
 
     
  REGISTA   Mario Martone  
  ATTORI   Toni Servillo, Maria Nazionale, Cristiana Dell'Anna, Antonia Truppo, Paolo Pierobon, Eduardo Scarpetta, Lino Musella, Roberto De Francesco, Gianfelice Imparato, Giovanni Mauriello, Iaia Forte, Roberto Caccioppoli, Chiara Baffi, Alessandro Manna, Lucrezia Guidone, Elena Ghiaurov, Gigio Morra  
  PRODUTTORE   Indigo Film e Publispei con Rai Cinema  
  SCENEGGIATORE    
  COMPOSITORE    
  PAESE   Italia, Spagna  
  CATEGORIA   Biografico, Drammatico  
  ANNO   2021  
  DURATA   133 minuti  
  LINGUA    
  SOTTOTITOLI    
  URL   https://www.comingsoon.it/film/qui-rido-io/55666/scheda/  
 
 
 

DESCRIZIONE   Qui rido io, il film diretto da Mario Martone, è incentrato sulla figura del celebre attore e commediografo Eduardo Scarpetta, interpretato da Toni Servillo, nonché padre di un altro grande del panorama teatrale italiano, Eduardo De Filippo. Scarpetta è stato una figura chiave del teatro italiano, che ha messo in scena opere diventate presto elementi storici saldi nella cultura nostrana e che l'hanno consacrato come uno dei grandi maestri della risata del Bel Paese.
Una vita dedicata al palcoscenico, che gli ha portato successi, ma anche controversie, memorabile infatti la diatriba con Gabriele D'Annunzio per una versione parodiata del Vate ne Il figlio di Iorio. Lo stesso De Filippo, suo figlio, non ha mai parlato di lui in termini di padre, ma ha sempre definito il genitore un grande attore, come se la grandezza attoriale di Scarpetta superasse il legame di familiarità tra i due.
 

COMMENTO   La vita e il teatro, impossibile distinguerne i confini, nel caso di Eduardo Scarpetta. Un re della commedia napoletana, patriarca con nove figli da madri diverse, quasi ricreare anche in casa una. platea affollata di spettatori. A inizio Novecento il mondo sta cambiando e anche l'istrione, trionfatore al botteghino dei teatri come nessuno, subisce l'irruzione di giovani autori in cerca anche di un dramma popolare, non solo della risata. Un film trascinante, straordinariamente fluido, malinconico e doloroso. Un viaggio condotto da un Mario Martone mai così in forma, con un cocchiere straordinario come Toni Servillo. (Mauro Donzelli - Comingsoon.it)
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Il re del botteghino, della risata napoletana. La storia di Eduardo Scarpetta e della sua famiglia, fra cui i figli mai riconosciuti Peppino ed Eduardo De Filippo, viene raccontata da Mario Martone in Qui rido io, in concorso a Venezia. La recensione di Mauro Donzelli.
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Qui rido io. Una frase campeggiava nella villa estiva di Eduardo Scarpetta, in cui passava l’estate ricevendo artisti, amici, letterati. Ma in realtà è sempre lui in scena, anche quando, all’inizio del film di Mario Martone, non è ancora sul palco. La sua assenza è così ingombrante, il suo ingresso entro poche battute così chiaramente il momento che tutti gli spettatori attendono, da sintetizzare bene la figura di un artista che non lasciava mai il palcoscenico. Salvo farlo, definitivamente, per tempo, prima di venire dimenticato in attività, come pochi grandi sono stati capaci di fare, intuendo come il tempo e il suo amato teatro stavano cambiando più di quanto lui avrebbe potuto o voluto fare. Solo il suo pubblico è riuscito, quindi, a farlo uscire di scena, mentre in Qui rido io passa senza soluzione di continuità dalla scena alla cucina, dal teatro a casa, con il sipario che si confonde alle tende delle tante finestre che si affacciano dai suoi ricchi appartamenti sulla città, su Napoli, o sul mare.

Un istrione della commedia teatrale, che si fa spettatore solo quando sottopone i suoi vari figli, legittimi o illegittimi, a un sadico rito di iniziazione. Quello che vede costretti i rampolli, variamente intesi, a intonare nel modo giusto, nei panni di Peppiniello di Miseria e Nobiltà, il tormentone: “Vincenzo m’è padre a me”. Lo zio riconosciuto e svelato in realtà come padre. Ancora una conferma di come vita e teatro fossero una cosa sola, per Scarpetta. Un’esplosione e un’esplorazione continua, a costo di lasciare da parte l’umanità nei confronti di troppe persone. Non si riconosce quando Toni Servillo, che lo interpreta, è vestito di scena o da casa. Per lui ogni giorno era un atto della stessa infinita commedia, specie la domenica, con il pranzo delle grandi occasione per la famiglia allargata e il patriarca a intonare battute, canzoni, deliziandosi della sua tribù, di cui rimase sempre il capo. Un tiranno amato e temuto, come nel caso del “piccolo” Peppino (De Filippo), che con il fratello Eduardo e la sorella Titina non fu mai riconosciuto. Quel Peppino spedito altrove per cinque anni, che lo odiava anche da adulto, quando diventò attore mirabile, anche per i suoi illustri geni.

Non è più commedia dell’arte, non ci sono più maschere come Pulcinella, che Scarpetta uccide con un teatro popolare ma moderno. E come ogni padre spirituale ucciso, la maschera torna a perseguitarlo quando il ciclo della vita e dell’arte lo pone a sua volte di fronte a una nuova generazione, a nuovi slanci e gusti. Gli appare, Pulcinella, proprio a conclusione di una sera in cui il tempo inzia a chiedere il conto. Una sera in cui i figli sono tutti fuori, ormai grandi e vogliosi di cercare la propria strada, non solo di applaudire quella scelta dal padre. La sua arte inizia a sembrargli superata, con giovani autori che riteneva amici pronti a voltargli le spalle. Una sera in cui Scarpetta esce dal suo teatro della vita, dal palcoscenico dei suoi appartamenti, e si avventura malinconico e solitario per i vicoli di Napoli. Ma lui, icona popolare che fa ridere la gente comune come nessuno, è ormai distante da loro, vive a corte, in un palazzo pieno di spettatori a domicilio. Arriva in una terrazza in cui una cena è in corso, con una delle sue amanti insieme a parenti, amici, in semplicità ma risate e serenità. Cerca di tornare indietro nel tempo, ma quando arriva scende il silenzio, le chiacchiere si fanno forzate e ossequiose.

Qui rido io racconta la figura di un divoratore, un predatore di donne, famiglia e palcoscenico, devoto al culto della risata e degli applausi, per lui fattore cruciale, il respiro che alimentava il suo successo e la sua felicità. Un film scandito da nascite e debutti, trionfi e fischi, invidie e rancori. Con il terrore del suo unico spauracchio, l’insuccesso, fragilità di ogni artista dipendente da un pubblico che interagisce durante le esibizioni. Sta arrivando il cinematografo, anche lui, a rovistare nel suo terreno di caccia, in cui è in cima alla catena alimentare. Martone dirige un’irresistibile commedia popolare, in cui il ridicolo “è il rovescio del sublime”, in grado di rappresentare brillantemente un’epoca di trapasso, con un attore in splendida forma, Toni Servillo, capace di passare da uno Scarpetta che recita a uno nella vita, quindi al cinema. Due tecniche diversissime, impossibili da mescolare come acqua e olio, ma che lui riesce a rendere un flusso continuo e indistinguibile. Solo di una cosa Scarpetta non riesce a ridere, del tempo che passa.

di Mauro Donzelli
critico e giornalista cinematografico
intervistatore seriale non pentito